Il ruolo di SaraLab in Utilità Marginale. Intervista
di Fondazione Div.ergo-Onlus
SaraLab il laboratorio statistico spin off dell’università del Salento è uno dei partner del progetto di utilità marginale. Esso ha il compito specifico di curare il monitoraggio e la valutazione del progetto. In questa intervista rivolta al prof. Enrico Ciavolino, docente dell’Università del Salento e coordinatore delle attività di monitoraggio, dopo un anno insieme, chiediamo un rimando su di noi, ma anche di conoscere meglio lo specifico del loro lavoro.
Per la sua esperienza quanto sono diffusi la valutazione e il monitoraggio della rendicontazione in ambito sociale?
Non ci sono grandi realtà nell’ambito della valutazione sociale a meno che non si parla di progetti finanziati che lo richiedono. Per il resto non viene molto utilizzato, se non per divulgare il risultato, non tanto per fare un reale controllo di processo. Non è una sensibilità da davvero diffusa.
Sembra quasi una sovrastruttura. Adesso è cambiata un po’ la cultura nelle aziende perché si è visto il vantaggio, sono cambiati i sistemi di valutazione, sono cambiati i criteri adottati, è cambiata anche la cultura: per alcuni settori funziona benissimo un progetto che già pensa alla valutazione della qualità.
Il terzo settore è un settore relativamente nuovo e per questo si pensa più alla realizzazione del progetto, non a come viene realizzato. Eppure è importante ragionare nei termini della valutazione della qualità sin dall’inizio. Ricordo un intervento in Africa in cui una onlus dovette ricominciare tutto da zero perché non avevano considerato in fase di progettazione che per l’etnia per la quale avevano costruito pozzi il gesto del pompare acqua con una leva meccanica era considerato offensivo e le donne preferivano farsi chilometri di strada piuttosto che usare gli strumenti che erano stati installati.
E quali sono i vantaggi di monitoraggio e valutazione in ambito sociale?
Ovviamente quello del controllo del processo di erogazione di un progetto del genere. Vengono creati di strumenti che sono proprio calati ad hoc nel contesto di riferimento, che sono in grado quindi di raccogliere informazioni abbastanza specifiche e quindi, non solo si valuta quanto un progetto realizza, ma anche come il progetto viene percepito da chi ne usufruisce. In relazione al raggiungimento degli obiettivi ci si può chiedere: ho messo a coltura i terreni oppure no? Ma dopo averli messi a coltura ho realizzato veramente qualcosa che viene percepito? Le persone che partecipano al progetto come percepiscono le realizzazioni? Si sentono coinvolte, sentono realmente di far parte di qualche cosa?
Parlando di Utilità marginale che tipo di metodologie state utilizzando e in che cosa consistono?
Abbiamo raccolto dati attraverso i questionari specifici, dopo aver condotto delle interviste con il soggetto capofila per capire quali sono gli aspetti che devono essere indagati e li abbiamo strutturati, li abbiamo poi calibrati. Fondamentalmente sono dei questionari con scale di punteggio che consentono di valutare la percezione di alcuni aspetti del processo. Abbiamo inoltre raccolto dati più oggettivi: il numero degli eventi realizzati, numero delle giornate di sensibilizzazione, la quantità di prodotto, il numero dei contatti social e le interazioni.
Avete anche scelto un approccio di tipo etnografico…
Abbiamo pensato di affiancare un approccio più qualitativo ad uno di tipo quantitativo. Abbiamo condiviso l’idea di lavorare a diretto contatto con i destinatari per fare le interviste, cercando di raccogliere le loro sensazioni, osservando direttamente quanto vivevano loro.
Parliamo proprio di Utilità marginale e dell’esperienza accumulata. Ci vuol dire in sintesi quali sono gli aspetti più rilevanti di impatto nel contesto di riferimento?
Molti. Gli adolescenti che hanno partecipato ai corsi di formazione hanno restituito risultati molto positivi. Un dato che emerge è come la buona organizzazione ha avuto un impatto sulla didattica, sull’interesse dei partecipanti. È comunque la didattica risulta di un livello percepito come molto elevato. Abbiamo poi valutato gli aspetti un po’ più oggettivi, tipo il recupero e ripristino dei terreni che ammontano a quattro ettari utilizzati per legumi, grano, zafferano e micro-ortaggi; il raccolto di topinambur con una produzione di 1,5 quintali, lo zafferano pari a 25 grammi. E poi le giornate evento di sensibilizzazione: significative le presenze con una media di 60 persone ad evento: le “Domeniche marginali”, lo Slow Food day, il Nordic Walking: un bel risultato.
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