Il racconto dei laboratori del progetto Svolta all’Albergheria! presso la Casa Circondariale Pagliarelli Lo Russo di Palermo

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Sin da subito abbiamo capito che potevamo avere fiducia gli uni negli altri e abbiamo iniziato a raccontarci. È stato uno scambio reciproco, un trasferimento di competenze ed esperienze.

Sono le parole di Giorgia Puleo, fondatrice di Clean Sicily Srl una delle imprese che ha tenuto i laboratori del progetto Svolta all’albergheria! presso la Casa Circondariale Pagliarelli Lo Russo di Palermo insieme a Next Nuove Energie X il Territorio, Associazione Mosaico e Wonderful Italy

Gli incontri, propedeutici ai 9 tirocini formativi previsti dal progetto, hanno coinvolto persone detenute in percorsi di formazione tecnico-pratica nell’ambito del customer service, facility management e in laboratori di narrazione.

Sono stati utili strumenti per promuovere l’autostima, la progettualitaà affettiva e l’identità professionale, l’acquisizione di competenze specifiche, elementi necessari per il reinserimento sociale e lavorativo.

Il progetto Svolta all’Albergheria! è nato per mettere al centro le abilità individuali dei detenuti, orientandole verso la comunità per un impatto “rigenerante” sul territorio, incrementando l’offerta di operatori del settore turistico-alberghiero, grazie alla collaborazione con imprese e comunità.

Abbiamo anche ascoltato le parole di Veronica, di Associazione Mosaico, che ha tenuto, per tre mesi, il laboratorio di narrazione autobiografica, incontrando settimanalmente donne e uomini detenuti. 

“Mi sono immersa nel lavoro, a cuore aperto. Sapevo che gli esercizi, i giochi, che avrei proposto, li avrebbero spiazzati ma sapevo anche che li stavo invitando a giocare, come bambini, a fare cose (apparentemente) semplici, divertenti, leggere, li stavo invitando a stare nel tempo presente. La prima volta sono stati tutti al gioco, educatamente, con l’atteggiamento che ci si aspetta o che si esige da loro, ma vedevo che per alcuni il lavoro risultava particolarmente difficile. Chi si è sentito ridicolo non è più tornato; alcuni, nonostante le difficoltà, sono invece tornati ma è stato molto complicato consolidare il gruppo. Strada facendo ho adattato quello che avevo programmato con le situazioni che si creavano. “

Il gruppo delle donne si è consolidato. Al suo interno molte hanno fatto un cammino verso loro stesse, hanno intrapreso processi di elaborazione, di distensione, di coscienza di sé. 

A volte le chiacchiere, le confidenze rischiavano di debordare e, pur lasciando un po’ di spazio, cercavo di riportare il gruppo al momento presente. Molte testimonianze, di uomini e di donne, raccontavano di dimenticare per quel tempo dove si trovavano, ne ero profondamente felice.

Gli stereotipi di genere sembravano molto netti all’inizio ma strada facendo diventavano più sfumati; in particolari alcuni uomini hanno più volte mostrato una tenera capacità di approcciare e parlare delle loro vulnerabilità.”

Con il racconto di Veronica possiamo davvero toccare con mano quello che è stato sin da subito al centro del lavoro di “Svolta All’Albergheria!”, sostenuto sin dall’inizio, con convinzione, da Fondazione con il Sud: prevedere l’intervento su tre macro-sistemi, sistema penitenziario, sistema produttivo e sistema comunità. 

In un processo osmotico, in cui gli interventi su un sistema influiscono e orientano l’altro, il progetto promuove e sostiene questa comunicazione. 

“Ho avuto la prova evidente che in carcere ci finisce “l’errore” della società, che questo errore può commetterlo chiunque e che forse molti di noi là fuori l’hanno già commesso, con l’unica differenza che finora ci è finita bene. Sembra poi che le circostanze che portano in carcere una donna, o quantomeno alcune delle donne del mio gruppo, rispecchiano i rapporti di potere nel patriarcato”

Tra le donne ho però incontrato anche quelle che destinate non sembravano proprio.

Sono stata con loro avendo ben chiaro che non stavano pagando il loro “debito con la società” ma gli errori della società, perciò, il fatto che stessero scontando una condanna era del tutto ininfluente, anzi, sentivo ancor più il senso del mio lavoro. Ho cercato di instaurare una relazione libera da ogni pregiudizio, di creare uno spazio dove fosse possibile guardarsi negli occhi e sentire il cuore dell’altro e dell’altra.

Abbiamo esercitato la nostra umanità. Me ne sono andata più umana.”

 

foto di Francesco Paolo Catalano

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