La cura della fragilità può nascere e crescere come missione

di

Tina Vicari

Era conosciuta da tutti come “L’angelo del bene” perché, spinta da spirito pionieristico e solidale, un giorno di 36 anni fa decise che era necessario fare qualcosa di concreto per i più bisognosi della sua città, Ragusa, promuovendo l’integrazione dei popoli dedicandosi in particolar modo alle difficoltà degli immigrati. “Mecca Melchita” è l’associazione che decise di fondare nel 1987 Tina Vicari, una di quelle persone sul cui volto leggi la bontà di cuore. La sua è stata una vita spesa per accogliere le fragilità dell’animo umano.

«L’ho fondata per caso – scriveva la donna scomparsa il 27 luglio del 2017 all’età di a 83 anni -. Una mattina vidi un marocchino di fronte casa mia. Era malvestito e in misere condizioni. Gli chiesi se avesse fatto colazione, ma mi rispose che era da molto che non mangiava. Lo invitai, allora, ad entrare, gli avrei fatto fare la colazione. Mi rispose che, però, non aveva soldi per pagare. Gli dissi che gliela offrivo io e non doveva pagare niente. Entrò, lo feci mangiare e, dopo la colazione, gli diedi anche alcuni vestiti di mio marito. . .».

Queste le parole con cui lei stessa raccontava la genesi della sua scelta di solidarietà che oggi prosegue attraverso il figlio, Carlo Di Pietrantonio, tenendo ben presente l’importanza di sostenere, comprendere, aiutare il prossimo: sempre, non solo nei momenti di difficoltà sociale dichiarati.

All’iniziale attività di accoglienza a cui aveva dato il via Tina Vicari, l’associazione oggi risponde soprattutto al bisogno di beni alimentari distribuendo risorse umanitarie di primaria importanza grazie al progetto “Io non Scado”.

«Andiamo nei supermercati con cui abbiamo delle convenzioni – afferma il presidente di “Mecca Melchita”, Carlo Di Pietrantonio – e recuperiamo l’invenduto del giorno prima (pane, rosticceria, polli, ecc.), ma anche alimenti prossimi alla scadenza, per esempio mozzarelle e latticini in genere. Anche gli ospedali ci mettono da parte il cibo che rimane perché in eccedenza rispetto al bisogno dei pazienti, evitando in tal modo di buttarlo via. Tutto questo lo distribuiamo ogni giorno a 50 famiglie, una buona parte delle quali straniere, ruotando tra le duecento della nostra lista. Ci viene in aiuto anche il banco alimentare che ogni mese ci fornisce determinati generi alimentari che colmano, per esempio, il bisogno dei cittadini musulmani che hanno delle limitazioni nelle scelte degli alimenti.  Siamo molto attenti alle specifiche esigenze».

Bisogni primari, quelli che colma Mecca Melchita, non dimenticando anche tutto quel che attiene all’abbigliamento e non solo, frutto della solidarietà di tante persone che, attraverso il Centro del Riuso possono fare qualcosa di bello e buono.

Volontari al lavoro

«Abiti, scarpe, giocattoli, ma anche complementi di arredamento – prosegue Di Pietrantonio – , non vanno più in discarica ma vengono conferiti nei locali in cui siamo, nella zona artigianale di Ragusa, che il Comune ci ha messo a disposizione per portare avanti la nostra attività. Distribuiamo vestitini per bambini, corredini, carrozzine, aiutando anche molti stranieri perché il 60 per cento delle persone che si rivolge a noi è di nazionalità rumena, albanese, marocchina, tunisina e algerina. Facciamo anche attività di sensibilizzazione ambientale con gli scout che ci vengono periodicamente a trovare. Per quanto riguarda, invece, i generi alimentari, siamo nell’ex ospedale civile del nostro Comune, nei locali che un tempo ospitavano la farmacia. Grazie all’Asp portiamo avanti il lavoro cominciato da mia madre che già nel nome dato all’associazione indicava la strada. Mecca, non necessita di spiegazioni, mentre forse non tutti sanno che i melchiti  sono i cattolici di rito bizantino, ma di lingua araba. Mia madre ricordava sempre quando,  ci furono i primi sbarchi. Da noi, a Ragusa, c’era e c’è ancora il mercato dove i musulmani andava a vendere la loro merce; quando non sapevano dove andare a dormire c’era mia madre, che dava loro anche da mangiare tre volte la settimana. Ebbe inizio tutto così».

Un’attività che da allora non si è mai fermata, anzi è sempre più cresciuta.

«Vorremmo fare qualcosa contro il caporalato . conclude il presidente – , ospitando le persone che lavorano nei nostri campi.  Aspettiamo il bando, sperando di potere esaudire un altro dei desideri di mia madre. Lei cominciò quando ancora di permessi di soggiorno non se ne parlava neanche lontanamente. Andò anche ai “Fatti Vostri” per raccontare la sua missione. Pian piano si è realizzato tutto quello che voleva, ma ancora tanto si può e deve fare».

 

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