Una cuoca a Borgo Mezzanone cucina per i lavoratori del ghetto
di intersos
Si chiama Fatou e della sua casa ha fatto un ristorante per dar da mangiare a lavoratrici e lavoratori agricoli del ghetto di Borgo Mezzanone
Fatou è una donna che abbiamo conosciuto a Borgo Mezzanone. Lì, e in tutta quell’area chiamata Capitanata, nella provincia di Foggia, nei cosiddetti “ghetti”, fatti di lamiere e fortuna, vivono migliaia di lavoratori e lavoratrici, sfruttati nei campi per la raccolta degli ortaggi che nella maggioranza dei casi finiscono nei nostri piatti. Lì, vivono migliaia di persone che non hanno diritti, che sono invisibili. Lì, in quell’area, grazie al sostegno di Fondazione CON IL SUD e con altri partner, da tanti anni garantiamo l’accesso all’assistenza sanitaria, portiamo avanti attività di educazione alla salute, facciamo sensibilizzazione sui servizi accessibili sul territorio e lavoriamo sull’inclusione, attraverso il sostegno psicosociale e il supporto legale.
Fatou è una delle poche donne che si incontrano nei ghetti. Ci ha raccontato la sua storia e cosa significa cercare di sopravvivere quando tutto intorno è ostile.
“Mi chiamo Fatou e vengo dal Senegal. Ho lavorato poco nei campi di Foggia, il mio fisico non reggeva quella fatica e rischiavo di ammalarmi. Sono arrivata qui tre anni fa, sono una cuoca, cucino per i lavoratori del ghetto cercando di guadagnare qualcosa per sopravvivere. La mia casa è diventata un ristorante, è un cumulo di terra e lamiere ma non c’è altro qui. Non avevo molte altre alternative oltre alla raccolta nei campi. Non mi sono mai allontanata da questo posto, vivo sola, i miei figli sono in Africa e mando loro i soldi quando posso. In estate si guadagna di più perché vengono molti braccianti a lavorare ma in inverno è dura, le vendite sono poche e il freddo è insostenibile. Non esistono riscaldamenti qui e l’umidità ti entra nelle ossa, questi sono i mesi più duri dove non aspetti altro che l’arrivo della primavera. Borgo Mezzanone è come una gabbia, la maggior parte di noi fatica ad uscirne perché è come se non esistessimo, non abbiamo i documenti e fuori da qui nessuno ci darebbe un lavoro”.
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