In prima linea per garantire il diritto alla salute ai braccianti agricoli

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“Non siamo qui per sostituirci al sistema sanitario ma per renderlo più inclusivo e accessibile”, dice la dottoressa Grosso, raccontando il lavoro di INTERSOS al fianco delle persone impiegate nel lavoro agricolo nel Foggiano

 

 

Con l’arrivo dell’autunno, la raccolta dei pomodori viene sostituita da quella dei broccoli. Nella provincia di Foggia e, nello specifico, nella zona della Capitanata, molti braccianti decidono di restare anche nei mesi successivi al periodo di maggiore produttività e duro lavoro che caratterizza l’estate e le albe trascorse nei campi agricoli. Cambia la stagione, ma non l’usura fisica e mentale alla quale migliaia di persone sono soggette a causa di uno sfruttamento che prosegue ormai da anni in quest’area del territorio pugliese.

 

Lucia Grosso è una giovane dottoressa di Cuneo che ha deciso di mettere le sue competenze a disposizione del team INTERSOS a Foggia, in uno dei luoghi più lontani dall’opinione pubblica e dal dibattito politico: l’insediamento informale nell’ex Pista di Borgo Mezzanone. “Ogni giorno, fuori dalla nostra clinica mobile – racconta la dottoressa Grosso – si forma la fila di persone che chiedono di essere visitate. Sono per lo più uomini, ma arrivano anche donne e anziani. Quello che vediamo più spesso sono patologie derivanti dall’usura dell’apparato muscolo scheletrico. Fratture, ferite e dolori per un uso eccessivo della muscolatura dovuto alla ripetizione degli stessi movimenti estenuanti per ore e ore nei campi. Molti di loro presentano anche irritazioni e infezioni agli occhi per la prolungata esposizione al sole e per il contatto con le polveri nell’aria”.

 

Dal 2018, anche grazie al sostegno di Fondazione CON IL SUD, una squadra di esperti sociosanitari di INTERSOS è operativa nella zona della Capitanata per portare assistenza medica alle persone impiegate nel lavoro agricolo che vivono negli insediamenti informali della Provincia di Foggia. “Le condizioni di vita sono allarmanti, queste persone vivono in una vera e propria discarica a cielo aperto, senza servizi igienici e in case di lamiera o, se va bene, cartongesso. Spesso presentano malattie gastrointestinali, legate probabilmente alla scarsa e cattiva alimentazione e al limitato accesso all’igiene. Sono persone che non dormono bene, che portano addosso i segni della loro stanchezza mentale, oltre che fisica. L’epidemiologia delle malattie che incontriamo è variegata e ci sono anche casi gravi: questa mattina un ragazzo è stato ricoverato per una sindrome nefrosica.” aggiunge Grosso.

 

L’assenza di documenti rende la situazione ancora più complessa. Senza documenti, ricevere cure mediche e accedere al proprio diritto alla salute è praticamente impossibile. Ancora più complessa è la situazione che riguarda le donne: “Da quando sono qui, ho riscontrato diversi problemi a livello di salute materno-infantile: donne incinte con varie problematiche nella fase prenatale o donne che vorrebbero interrompere la gravidanza ma che hanno paura e non osano chiedere aiuto a livello medico”. 

 

In questo contesto, dove i servizi non arrivano a tutti allo stesso modo, dove le persone non sono consapevoli dei loro diritti come quello alla salute, la presenza di organizzazioni umanitarie è fondamentale. Continua Grosso “Non siamo qui per sostituirci al sistema sanitario ma per renderlo più inclusivo e accessibile alle persone che restano tagliate fuori per via di tanti ostacoli, a cominciare dalla barriera linguistica. Una barriera che spesso porta alla diffidenza e all’incapacità di lavorare con persone che provengono da contesti culturali differenti e con problematiche epidemiologiche diverse”. Le persone vanno curate nel loro insieme. “Bisogna osservare tutta la loro vita, oltre al loro corpo. Mentre visiti una persona, non puoi non chiedergli da quanto tempo è in quel luogo, da dove viene, come si sente e cosa prova. Questo ci permette di andare oltre il sintomo fisico e capire cosa c’è dietro al dolore e alla sofferenza, ci permette di vedere le persone nel loro insieme” conclude Grosso. 

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