Intervista a Francesco Bonomo, regista di Amori Difficili
di lacarovanacooperativasociale
Amori Difficili è un progetto di Sardegna Teatro inserito tra le azioni di RigenerAzione Urbana, di cui è partner.
Come nasce il progetto Amori Difficili?
Il progetto nasce come indagine sulla comunità, per costruire una mappatura dei sentimenti. Poco prima del lockdown di marzo, Sardegna Teatro stava vagliando modalità operative che fossero nuove e diverse rispetto allo spettacolo frontale. Quindi ha accettato questo progetto inserendolo tra le azioni di RigenerAzione Urbana, rivolgendolo alla comunità di Sant’Elia: una realtà molto grande, ricca di risorse e di umanità tra loro eterogenee.
Come si inserisce in RigenerAzione Urbana?
Amori Difficili è apparso da subito conforme alle volontà di un progetto più grande come è quello di RigenerAzione Urbana e quindi si inserisce molto bene in esso. Inoltre i vari partner dell’iniziativa, come la Cooperativa Sant’Elia e l’Associazione La Carovana, hanno fatto da traghettatori, consentendo al collettivo artistico di Amori Difficili – che non aveva esperienze dirette sul territorio – di conoscere la realtà di Sant’Elia, scoprendone virtù e criticità ed entrando in contatto con gli abitanti. Amori Difficili lavora per attivare buone pratiche nelle persone, stimolare la creatività attraverso la scrittura, la recitazione o la narrazione.
In quali azioni si è sviluppato e come si svilupperà?
Tra le varie attività si segnalano i laboratori con i bambini e le bambine del quartiere e anche con gli adolescenti e le adolescenti. Amori Difficili utilizza strumenti prettamente teatrali, nel rispetto delle tematiche che ha scelto di affrontare e che sono dettate dal titolo stesso, che richiama la raccolta di racconti di Italo Calvino. Un’altra azione è stata l’Avventura di un racconto, durante la quale sono stati distribuiti, nel quartiere, pacchi regalo contenenti uno dei racconti della raccolta Gli Amori Difficili, una mappa del rione e le istruzioni che suggerivano di leggere il racconto e poi spostare il pacco in un altro luogo per i futuri lettori, segnalandolo sulla mappa. Altre iniziative, come il laboratorio con gli adulti, sono state sospese a seguito della pandemia.
Quali sono gli aspetti dell’opera di Calvino che vi sono cari e in che modo li richiamate?
Calvino è un autore che ha prodotto tantissimo. Gli Amori Difficili, nello specifico, sono una serie di racconti che vengono chiamati ‘avventure’. Si tratta di piccole esperienze che vivono persone comuni e che contribuiscono a cambiare la loro vita. Sono le piccole avventure che potrebbero capitare a chiunque, per questo tali racconti, ognuno dei quali sviluppa temi diversi, sono un buon viatico per raccontare e farsi raccontare. Inoltre rappresentano un esempio da cui attingere un metodo per imparare a conoscere le persone con cui si interagisce. Queste vengono coinvolte in un processo di crescita che potrà evolversi e declinarsi in vari modi: dai laboratori teatrali passando per la diffusione di buone pratiche come quelle della lettura e della scrittura, arrivando a esperimenti come il Banco delle Parole.
Cos’è il Banco delle Parole e com’è nata l’idea?
L’idea è nata dalla volontà di avvicinare le persone del quartiere e coinvolgerle nella maniera più naturale, al fine di conoscerle. Per farlo era necessario vivere la strada, perciò è stato scelto il mercato come luogo ideale. Accanto al banco della frutta o a quello delle stoffe è sorto un vero e proprio banchetto delle parole, dove il collettivo artistico ‘vendeva’ le parole sotto forma di poesie o racconti, e attraverso dispositivi più o meno spettacolari interagiva con le persone, sempre attingendo da materiali calviniani. L’offerta di parole non prevedeva un corrispettivo in denaro, bensì ‘un pagamento’ fatto di altre parole vestite di emozioni, sensazioni e suggestioni che questa vendita irrituale aveva generato nei partecipanti. Così è iniziato un processo virtuoso di scambio con le persone, che si spera possa evolvere in futuro, magari sfociando in azioni sceniche.
Il progetto ha registrato resistenze o è stato accolto da subito con favore? Come ha reagito la cittadinanza?
Le persone hanno reagito molto bene: c’è stata ovviamente un po’ di sana diffidenza iniziale ma le attività compiute hanno avuto un ottimo riscontro, anche perché il collettivo ha fatto in modo di presentarsi come operatore che vive il quartiere per offrire qualcosa, e non per ‘prendere’.
Da chi è composto e come è articolato il collettivo?
Il collettivo è nato in maniera spontanea a seguito della presentazione del progetto, che da subito ha ricevuto numerose adesioni da parte di attori e attrici, autori e autrici. È composto da sette componenti (Emilia Agnesa, Daniel Dwerryhouse, Agnese Fois, Eleonora Giua, Astrid Meloni, Elisa Pistis, Marta Proietti Orzella, NdA), prevalentemente donne, ed è abbastanza eterogeneo nelle professionalità che coinvolge. Il Lazzaretto è il suo punto di riferimento: un presidio sempre abitato e trasformato in una residenza artistica.
Quali spazi del territorio coinvolge?
Il campo base è il Lazzaretto, soprattutto la sala polifunzionale. Dopodiché le azioni si sono svolte su tutto il territorio in modo sparso: molte si sono sviluppate all’aria aperta e alcune hanno coinvolto bar e ristoranti della zona.
Rispetto agli interventi realizzati in passato, quali novità introduce Amori Difficili?
Sicuramente la volontà di dare continuità a tutte le azioni intraprese e non abbandonare il territorio e la collettività con cui si è interagito.
Azioni di questo tipo, che traggono linfa vitale insinuandosi nel tessuto sociale, restituiscono sempre qualcosa al territorio e alla collettività. Il progetto cosa intende restituire al quartiere?
Ogni azione è un’azione di ‘restituzione’: restituzione di una capacità di dialogo che si è persa. Dialogo con l’arte, con la scrittura e anche tra le stesse persone coinvolte nei progetti, attraverso una serie di dispositivi che noi forniamo di volta in volta. Inoltre la natura del progetto è quella di creare i presupposti affinché tutte queste attività possano sopravvivere, un domani, anche senza interventi esterni e addirittura trasformarsi in azioni di altro tipo.
Intervista a cura di Giulia Sanna
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