Il ragazzo dai pantaloni rosa: una riflessione sul bullismo omofobico di Rosy Paparella, coordinatrice del CAD Mo.N.Di.
di resaretedisalvataggio
Lo scorso 12 novembre, al Multicinema Galleria di Bari, abbiamo avuto la possibilità di incontrare il pubblico in occasione della proiezione del film “Il ragazzo dai pantaloni rosa“. Presenti in sala, la coordinatrice del CAD Mo.N.Di., Rosy Paparella e la referente di Mixed Lgbtqia+, Piera Forlenza.
E proprio Rosy Paparella, a seguito della visione del film, avvia una riflessione – che riportiamo di seguito – che rimette al centro l’invisibilità del bullismo omofobico e la prevenzione del maltrattamento delle persone minorenni lgbtqia+.
“Uno dei trend più in voga su TikTok, il mondo social più abitato dagli adolescenti, è questo: pubblicare un video prima della proiezione del film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” e un altro subito dopo, quasi sempre con il volto rigato di lacrime.
Come ho potuto verificare personalmente nella mia città, il film – uno dei più visti delle ultime settimane – ha realmente un impatto emotivo molto intenso sugli spettatori, soprattutto sui più giovani. Nelle sale durante le proiezioni si produce un silenzio profondo e, a luci accese, ci si scopre con gli occhi lucidi o col viso segnato dal pianto.
Certo, la storia di Andrea Spezzacatena, raccolta prima dalla madre in un libro ed oggi trasposta nel film diretto da Margherita Ferri, non lascia indifferenti. Le lacrime che vediamo versare però ci fanno pensare che la sua vicenda tristissima e tragica in qualche misura stia facendo da eco rispetto a esperienze molto diffuse e spesso altrettanto devastanti tra le persone che oggi sono sue coetanee.
Nel 2012, quando si è tolto la vita, Andrea aveva quindici anni e solo dopo la sua morte, dalla scoperta di una pagina social aperta allo scopo dichiarato di denigrarlo pubblicamente etichettandolo come omosessuale, è stato possibile ricostruire le esperienze dolorose e distruttive che lo avevano segnato.
Era un ragazzo gentile, Andrea. Gentile e studioso, ma anche così schietto da non farsi problemi a indossare il paio di pantaloni che, per un lavaggio sbagliato, la lavatrice aveva restituito colorati di rosa. Proprio quei pantaloni rosa che sono diventati per l’aguzzino e i suoi aiutanti la prova definitiva del suo essere diverso e che li hanno fatti sentire legittimati a intensificare la loro azione di annichilimento.
Nella vicenda sono ben rappresentati tutti gli ingredienti complessi che fanno da trama al bullismo: l’intenzionalità, la persistenza nel tempo e l’asimmetria di potere, ma qui voglio soffermarmi su alcuni elementi che meritano grande attenzione in quanto specifici del bullismo a sfondo omofobico. Già nel 1995 Sharp e Smith, ponevano grande attenzione al filtro selettivo utilizzato dai bulli per selezionare le vittime, assai di frequente individuate tra coloro che per svariate ragioni si differenziano dai loro pari 1 . Si diventa potenzialmente vittima di bullismo se percepiti al di fuori della cornice che separa ciò che è “normale” da ciò che non lo è. Si è fuori dalla “normalità” per una caratteristica fisica, per il colore della pelle, per una condizione di disabilità, per un certo modo di vestire o di muoversi, se esprimono, o sono sospettati di esprimere, un orientamento sessuale o un’identità di genere diversi dalla maggioranza degli individui. Insomma, chi è più esposto alla reiterata vittimizzazione è spesso all’interno di una dinamica sociale a rischio di marginalizzazione in quanto il bullismo tende di fatto a “naturalizzare” le discriminazioni, cioè a legittimarle come indiscutibili sulla base di un’idea gerarchizzata di società.
Di conseguenza, in una società per cui la minoranza sessuale costituita dalle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali sconta ancora e in modo persistente una vasta serie di pregiudizi e comportamenti discriminanti, per gli studenti LGBTI – o percepiti tali- è molto alta la probabilità di essere “naturalmente” selezionati come vittime di prevaricazioni e violenze sistematiche.
Sono diversi gli studi che segnalano questo specifico rischio e le caratteristiche peculiari del bullismo di matrice omolesbobitransfobica. Scrive il prof. Giuseppe Burgio che “tra i fenomeni bullistici a scuola e le dinamiche sociali di discriminazione esiste un rapporto biunivoco: se il corpo sociale è organizzato attorno a una gerarchia di discriminazioni ai danni delle cosiddette minoranze sessuali, le nostre aule non possono che essere lo specchio fedele di tutto ciò e, al contempo, il vivaio, il corso di addestramento per essere integrati/e e conformi a questa società” 2 .
Inoltre, il bullismo fondato su orientamento sessuale o identità di genere si articola su dinamiche assai speciali, messe molto bene in evidenza anche nel film e connesse ai passaggi evolutivi più delicati dell’età adolescenziale: la relazione con il corpo e l’identità sessuale, con l’identificarsi o meno rispetto a una certa idea di maschilità o femminilità, il bisogno di socialità e di accettazione da parte dei coetanei.
Per chi opera nei contesti educativi o in quelli di aiuto psico-sociale è necessario tenere ben presente questa complessità di fattori, nella consapevolezza che il bullismo di questo tipo coinvolge una dimensione profonda come quella della sessualità e dell’identità di genere e che questo produce vissuti di ansia e vergogna con cui è difficile convivere. E’ la vergogna che limita fortemente la richiesta di aiuto da parte di chi subisce e al tempo stesso riduce la probabilità che qualcuno dei coetanei sia disposto a dare aiuto. Troppo alto, infatti, il rischio di essere considerati a propria volta gay, lesbiche o transgender. Tutto questo insieme di difficoltà talvolta coincide proprio con il momento della spinta a fare “coming out”, momento sempre delicato nel percorso di vita di una persona non eterosessuale o gender diverse e, come ci dicono le statistiche, da qualche anno anticipato intorno ai 14-15 anni.
Se le vittime di bullismo in generale restano silenti e invisibili ancor più questo accade alle giovanissime persone preadolescenti o adolescenti che ne sono colpite perché diverse- o percepite diverse – rispetto alla sessualità.
L’esperienza che stiamo maturando all’interno del Centro Antidiscriminazione Mo.N.Di., cui si rivolgono numerosissime persone molto giovani, ci dà un’idea di quanto sia pervasivo il fenomeno: nelle loro storie di vita, infatti, l’essere stati vittime di prepotenze, offese, derisioni sistematiche a scuola è un elemento ricorrente, e spesso ha portato all’interruzione dei percorsi di studio, oltre che a esiti di disagio psicologico e relazionale anche a distanza di anni.
Bisogna tenere alta l’attenzione, quindi, sia sul piano del riconoscimento dei segnali da parte delle vittime sia su quello della prevenzione. Come d’altronde ci segnala il fatto che alla prima proiezione del film a Roma, da un gruppo di studenti accompagnati dai loro docenti si sono levati fischi e urla di insulto per quel ragazzino “diverso” e insopportabilmente non abbastanza maschio. Vorrei credere che si sia trattato di un episodio isolato, e che siano più significative le lacrime dei ragazzi che dopo il film stanno condividendo sui social le loro esperienze ed emozioni, ma da professionista so che lo sradicamento del bullismo e del cyberbullismo come elemento endemico nei contesti scolastici ed educativi è un obiettivo davvero difficile da raggiungere. La buona notizia è che anche un film come questo può essere uno strumento importante per fare qualche passo in più.”
Rosy Paparella
Aps Sud Est Donne – coordinatrice CAD Mo.N.Di
Note bibliografiche
1 Sharp e Smith- “Bulli e prepotenze a scuola. Prevenzione e tecniche educative” – Erikson, Trento 1995
2 G. Burgio- Genere, violenza e desideri in adolescenza in “Di che genere sei?”- Edizioni la
meridiana, Molfetta 2014
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