Camera a Sud: un ponte tra culture

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Camera a Sud è un’associazione di promozione sociale, con profonde radici a Sud, nel Mediterraneo, e lo sguardo rivolto verso l’Europa e il Mondo. È una delle tre realtà del Terzo Settore selezionate per partecipare al percorso di accelerazione realizzato da The Qube all’interno di Pro Officine Mezzogiorno, progetto di rigenerazione e innovazione sociale sostenuto da Fondazione CON IL SUD e Italiacamp.

Per scoprire meglio questa realtà davvero dinamica di Lecce, abbiamo fatto quattro chiacchiere con il Presidente dell’Associazione Matteo Pagliara.

Come nasce Camera a Sud?

La genesi dell’associazione Camera a Sud è un po’ bizzarra. Possiamo dire infatti che nasce due volte. La prima è nel 2003 a Bologna, dall’idea di Corrado e Marta, per sviluppare progetti rivolti a ragazzi in regime di detenzione attraverso cinema e teatro. I due però nel tempo vengono presi maggiormente dai percorsi accademici e di conseguenza l’associazione rimane dormiente per quasi 10 anni.

Dobbiamo aspettare quindi tutto questo tempo perché Camera a Sud “rinasca” e lo faccia a Lecce grazie a me e Francesco Mignogna. Entrambi lavoravamo nel campo dell’accoglienza, ma con due enti differenti. Nelle nostre esperienze avevamo notato una problematica comune: non esiste un vero e proprio percorso completo per l’integrazione dei cittadini stranieri. Si fanno lezioni di italiano, laboratori di formazione professionale, ma spesso alla fine dei progetti i cittadini stranieri sono costretti a tornare al punto di partenza, soprattutto per la necessità di sbrigare le pratiche burocratiche per trovare lavoro. Ci rendiamo conto insomma che non c’è una continuità nella presa in carico e questa cosa non è solo estremamente frustrante per le persone coinvolte direttamente, ma anche per noi operatori.

Con questa consapevolezza proviamo a creare un’associazione che possa essere un luogo di raccordo e raccolta, in modo da poter continuare a prendere in carico i problemi dei migranti e creare occasioni che diventino un ponte tra storie differenti, anche per far conoscere la vita, il Paese di provenienza, la cultura di queste persone a 360º: dalla musica e dal cinema, fino alla cucina.

Il primo importante progetto è “Crocevia” ed è realizzato nel 2017 grazie al finanziamento Pugliesi Innovativi. Creiamo un centro multiculturale con una serie di servizi connessi: consulenza legale e fiscale per stranieri, per supportarli ad esempio nel rinnovo permessi di soggiorno. Non mancano anche iniziative più culturali, proprio nell’ottica di creare dei ponti tra i loro paesi di origine e la loro nuova casa. In questo contesto inizia a collaborare con noi Ilaria Florio che, presto, diventa la terza anima dell’associazione.

Siamo però sempre più consapevoli che una vera integrazione passa soprattutto dal lavoro ed è per questo che nel biennio 2018-2019 iniziamo un’attività di formazione alla mediazione linguistica e interculturale, selezionando e formando ragazzi stranieri per diventare mediatori, soprattutto nel settore sanitario. Spesso infatti tra cura e cultura (intesa anche come religione e credo) si possono creare attriti e cortocircuiti che un medico senza avere accanto una persona profondamente immersa in quella lingua e in quella cultura non può disinnescare.

È il progetto che fa fare il salto di qualità all’Associazione che arriva ad avere un team molto più esteso. È la miccia che innesca il fuoco d’artificio: per anni siamo un vulcano di idee e progetti, su settori anche diversi tra loro, con oltre 50 collaboratori che ci supportano nello sviluppare idee e progettualità.

E nel 2020? Cosa succede con la pandemia?

Diciamo che per noi la pandemia, nonostante gli enormi problemi e disagi, si trasforma in una grande occasione perché riusciamo a spostare la sede di Crocevia in una location molto più adatta alle nostre attività. Non solo, è una nuova sede che ti fa andare a lavorare la mattina con il sorriso stampato in faccia. Io lo chiamo “rifugio urbano”: una villa rimasta abbandonata, circondata da una pineta, nella zona di Borgo Pace, un rione periferico, lontano dal centro.

Questo quartiere di Lecce mi sta particolarmente a cuore, io sono nato qui. Quando ero piccolo era diviso dal centro città dalla campagna: si diceva “Andiamo a Lecce” nonostante fossimo ovviamente già a Lecce. Ma a prescindere dal legame personale, pensiamo che uno sviluppo sociale inclusivo per la città debba passare anche da qui.

La nuova sede diventa una casa per le tantissime associazioni del territorio e accoglie centinaia di iniziative all’anno, non solo progetti veri e propri ma anche dibattiti, presentazioni di libri, formazione. C’è anche un bistrot aperto ai soci. Grazie a questo posto magico diventiamo dei veri e proprio attivatori nel quartiere e nella città, con l’ambizione di costruire qui un distretto del Terzo Settore.

Volete raccontarci qualche progetto che ha trovato qui casa?

 Il primo che vorrei raccontare è in partnership con la parrocchia del quartiere. Credo che sia molto significativa questa “alleanza” per far capire quanti attori scendo in campo nelle nostre iniziative. In questo caso devo dire soprattutto grazie al nuovo giovane sacerdote Don Gabriele, che è un vulcano di idee. Il progetto finanziato è da Puglia Capitale Sociale “Borgo Pace Comunità” e ha l’ambizione di rinforzare e creare un nuovo spirito di comunità. Lo spunto della progettualità sono due ricerche molto significative, la prima risale a parecchi anni fa ed è una tesi di laurea scritta nel momento in cui stava avvenendo la prima fase di urbanizzazione del quartiere intorno agli anni 70. Come spesso accade in questi casi le nuove persone che arrivarono nel rione portarono un forte scombussolamento, gli abitanti non si riconoscevano più, si chiudevano nelle proprie case, smarrendo il senso di comunità. Anni dopo è avvenuta una seconda fase di urbanizzazione, cha ha ampliato fortemente i confini geografici del quartiere. Questa volta è stato uno studio dell’Università di Lecce che ha registrato un processo nuovo, ma per certi versi uguale a quello precedente, di perdita di identità e comunità.

Un altro progetto interessante che impatta molto sulla geografia urbana è in collaborazione con il WWF sul rapporto tra il rione e la campagna, che prevede tra le altre cose l’ideazione di una ciclovia di raccordo tra la città di Lecce, attraverso il rione Borgo Pace e  Parco Naturale Regionale di Rauccio a nord est della città.

Prima parlavi di come Camera a Sud è riuscita a dare una casa anche ad altre associazioni del territorio per sviluppare i loro progetti.

Sì, assolutamente. Diciamo che siamo riusciti a supportare parecchie associazioni soprattutto nelle prime fasi dei loro progetti. Uno di questi è Ti Ascolto, progetto nato dall’omonima associazione e dall’intuizione di una psicologa che durante la pandemia è tornata da Torino a Lecce. Ha costruito uno sportello dove non si paga una tariffa predefinita, ma il compenso è costruito a partire dalla disponibilità della persona: chi ha di più aiuta chi ha meno. Il progetto è arrivato a coinvolgere oltre 60 persone, grazie al lavoro di più psicologi. Ovviamente Ti Ascolto è diventato troppo grande e dopo la prima fase ha trovato una sua sede.

 Quanto è importante in un periodo come questo costruire ponti tra culture?

 Tantissimo, ma dobbiamo ben capire cosa intendiamo quando parliamo di questo ponte. Credo che l’integrazione possa partire solo dalla conoscenza, anche dalla conoscenza delle cose più semplici e genuine, come il cibo.

È questo lo spunto ad esempio che ci ha portato a sviluppare un progetto con la Fondazione Cucine Senza Frontiere, una fondazione svizzera. Il progetto si chiama Cosmo Bistrot – cucina dal mondo e ha l’obiettivo di far conoscere nuove culture stando a tavola. 12 incontri dove i rappresentanti delle comunità più rappresentative di Lecce cucinano per tutti i loro piatti tipici. Oltre alla cucina gli incontri si caratterizzano anche con canti, danze, film, documentari, di quel Paese.

È questo il miglior modo per fare reale integrazione. Pensa al Cuscus: in molti lo identificano come un piatto esclusivamente del Nord Africa, ma è anche un cibo tipico siciliano, oltre che in tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Quale ponte culturale migliore di questo?

Raccontateci del vostro Team.

 Il team “stretto” è composto da tre persone: io sono il Presidente, Francesco Mignogna che nell’associazione si occupa anche della tesoreria e Ilaria Florio (vice presidente) che tra le altre cose cura la parte di comunicazione. Noi però saremmo inutili se non avessimo un ampio network di oltre 50 collaboratori che ci supporta nelle attività progettuali.

Come pensate che il percorso IN-Community possa migliorare la vostra attività?

Credo che la cosa più importante che può darci il percorso sia quello di capire quale sia la nostra strada principale da seguire. Negli ultimi tempi abbiamo corso molto senza guardarci bene indietro, ma forse la strada maestra è quella delle origini: creare momenti di interazione tra popoli differenti e sostegno alle comunità migranti. Lo sappiamo fare bene, è un’attività che ci qualifica molto, vogliamo professionalizzarla, definirla e migliorarla sempre di più.

Come immaginate il futuro di Camera a Sud?

Un’Associazione consapevole di cosa vuole essere e che si muova in un quadro ben definito e che sappia valorizzare al meglio i suoi punti di forza.

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