Apulia Stories: la forza del territorio, l’innovazione della tradizione

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Apulia Stories è una delle tre realtà del Terzo Settore selezionate per partecipare a In-Community, il percorso di accelerazione realizzato da The Qube all’interno di Pro Officine Mezzogiorno, un progetto di rigenerazione e innovazione sociale sostenuto a Lecce da Fondazione CON IL SUD e Italiacamp e sviluppato anche insieme al Comune di Lecce e all’Istituto Superiore Galilei – Costa – Scarambone.

Per conoscere meglio Apulia Stories abbiamo intervistato la sua fondatrice, Elisa Mele che ci ha raccontato la storia del suo progetto, nato in antico frantoio e che oggi vuole costruire una nuova visione di turismo e di conoscenza del territorio, attraverso un recupero autentico dei gesti e del fare della tradizione salentina.

 Come nasce Apulia Stories?

 Nel 2017 la Regione Puglia apre il bando PIN – Sblocca il tuo futuro!,un’iniziativa rivolta ai giovani per realizzare progetti innovativi a vocazione imprenditoriale. Era l’occasione perfetta per far fare il salto di qualità a un progetto che io e mio marito Alessandro, entrambi ingegneri, stavamo già conducendo: la mia famiglia aveva un antico frantoio ipogeo risalente al 1600 nel quale portavamo in visita ospiti stranieri.

Ci rendevamo conto, durante ogni visita, che gli ospiti internazionali facessero molta fatica a comprendere non solo le tecniche di lavorazione che venivano messe in pratica nel frantoio, ma anche a immergersi in quella che doveva essere la vita salentina della campagna del Seicento. Così io e Alessandro decidiamo di portare un tocco di innovazione: con dei visori 3D diamo la possibilità al visitatore di immergersi nel frantoio così come era all’epoca in cui era in funzione mediante una ricostruzione non solo del frantoio, ma di tutto ciò che gli girava intorno: persone, macchinari, animali. In questo modo i nostri ospiti possono toccare con mano la tradizione del nostro territorio, vivere un’esperienza a 360 gradi che non è solo il racconto di un luogo ma che diventa “esperienza”.

Ci rendevamo conto che candidare solo questa idea potesse essere riduttivo. Allora iniziammo ad arricchirla di esperienze sinonimo di quotidianità e vita locale. Sono figlia di cavatori e subito pensammo alla visita in una cava dismessa con laboratorio di scalpellino annesso, al termine del quale si degusta il “pranzo del cavatore”: un bicchiere di vino, formaggio e puccia farcita. È un’avventura decisamente inusuale non solo per un turista straniero, ma anche per un locale. La variante simpatica è stata quella di portare gli ospiti in cava con un van, far trovare un ombrellone, tavolo e sedie, sorseggiare menta, orzata o semplicemente acqua in abbinamento a fichi, fichi d’India e mandorle bagnate.

Da quel momento le experiences si moltiplicarono e sono sempre tutte legate alla tradizione: si passa dalla cultura enogastronomica (fare la pasta, la salsa, le conserve) fino all’artigianato (uncinetto, terracotta, luminarie e scultura su pietra leccese).

Un’altra delle esperienze più affascinante è l’attesa dell’alba al Faro della Palascia di Otranto, con la colazione e poi la visita alla lanterna. Abbiamo curato la gestione del faro e portiamo avanti diverse iniziative e programmi legati all’astronomia, all’acquerello all’aria aperta, allo yoga ed alle passeggiate naturalistiche.

In questo modo si costruisce il puzzle di Apulia Stories, un puzzle di cui io e Alessandro siamo i registi pronti a immortalare a far rivivere la tradizione della nostra terra.

Che cosa vuol dire per voi “experience”?

 Vuol dire toccare con mano, far vivere con tutti i sensi – vista, olfatto, gusto, tatto, udito – quello che significa il Salento.

Non è teoria, è un fatto concreto, è immersione. Non è rivivere qualcosa grazie allo storytelling, è viverlo concretamente: vivere il territorio grazie a queste experiences è molto più di un’occasione “classica” per conoscerlo. Le persone che viaggiano vogliono tornare arricchite nell’anima.

Un progetto come Apulia Stories potrebbe essere “esportato” in altri territori?

Al 100%.

Se potessi fare una X su un mappamondo e scegliere dove creare nuove esperienze, dove le faresti?

Sicuramentein Africa, in qualche villaggio sconosciuto ai più ma che è sicuramente ricco di cultura e di tradizioni assolutamente tipiche. Credo che anche da un luogo del genere, se comunicato ed esportato nel miglior modo, se fatto conoscere, possano venire alla luce incredibili risorse e immense emozioni condivise.

 Quali sono le innovazioni che potrebbero aiutare maggiormente il vostro lavoro?

 Non so se sia necessaria l’innovazione. Credo piuttosto che serva l’autenticità.

Noi giovani dobbiamo avvicinarci all’umiltà della tradizione e delle persone che l’hanno costruita. Forse più che correre in avanti, serve tornare indietro e fermarsi. Fermarsi a percepire. La vera innovazione è un ritorno alla semplicità. La vera strada è curare la meraviglia ogni giorno verso ogni cosa che merita attenzione e verso ogni cosa che sembra scontata ma in realtà è, di volta in volta, unica.

Raccontateci del vostro Team.

Il team è composto da me e mio marito, siamo due ingegneri. Con noi c’è una squadra di donne, uomini, ragazzi e ragazze del territorio che mettono a disposizione le loro competenze e la loro passione. Ci affiancano infatti tantissime professionalità: artigiani come ragazze che lavorano l’uncinetto o scultori che lavorano la pietra leccese, guide ed esperti dell’arte e della cultura del nostro territorio, ma anche tante professionalità più “semplici” ma non per questo meno importanti, anzi: signore che sono delle vere e proprie maestre della pasta fatta in casa, delle salse, delle conserve.

Qual è la collaborazione che vi ha colpito di più?

Sicuramente una signora anziana che ha fatto la pasta insieme a degli ospiti inglesi. Loro parlavano la loro lingua, lei la sua – il dialetto – ma sembrava che si conoscessero da una vita. Immergersi in un territorio in questo modo significa superare ogni barriera: è la forza del linguaggio del fare, il linguaggio del gesto, che sono più forti della parola.

Come pensate che il percorso IN-Community possa migliorare la vostra attività?

È fondamentale la possibilità di interfacciarci con professionisti e consulenti che rispondono a ogni nostro dubbio o interrogativo e in questo modo ci aiutano a immaginare più concretamente gli sviluppi futuri del progetto.

 A proposito di sviluppi futuri, come immaginate il futuro di Apulia Stories?

Oltre a sviluppare le nostre experiences, ci piacerebbe trasformare Apulia Stories in una cooperativa o in un’azienda al femminile in cui poter valorizzare l’artigianato locale: un gruppo di donne casalinghe espertissime e preparatissime nel loro lavoro complesso fatto di cucina, ricamo, rammendo, accudimento dei ragazzi. Sono attività solo apparentemente semplici ma che richiedono competenze e dedizione. Proprio per questo mi piacerebbe dare loro dignità lavorativa, valorizzarle, far nascere un’opportunità sempre sotto forma di experiences verso i nostri ospiti locali e internazionali.

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