La radio (di periferia) salverà il mondo di Barbara Baroni
La radio ci salverà? Studiosi e giornalisti hanno cercato di rispondere a questa domanda durante il dibattito sulla buona informazione e sul ruolo della radio che si è svolto oggi al Salone dell’Editoria Sociale (Roma), proprio nell’anno in cui si festeggiano i suoi novant’anni. Inevitabili le riflessioni post-dibattito sul compito sociale e culturale che questo “vecchio” mezzo di comunicazione può ancora avere nella nostra società.
Ivano Maiorella, direttore del Giornale Radio Sociale, sostiene con forza che la radio ha ancora numerose risorse, nonostante qualcuno le abbia già celebrato l’ultima dipartita. «La radio è come noi, come il terzo settore – afferma – perché ha costi di produzione bassi e arriva da tutte le parti, è antica e moderna, sfrutta una risorsa fondamentale che è il rapporto stretto e diretto con il territorio, tipico del mondo sociale. In fondo in questi novant’anni la radio non ha mai perso credibilità e non ha mai venduto l’anima al diavolo, è riuscita a mantenere il suo baricentro tanto che noi l’abbiamo scelta come canale privilegiato per la comunicazione sociale».
Ed è anche convinto del ruolo sociale che ricopre: «Il mondo della web radio è una rivoluzione e la si può accomunare a quello che è stato il grande cambiamento della radio transistor negli anni Sessanta. Dallo sport alle informazioni alla musica, tutto, ancora oggi, passa per la radio solo che è cambiato lo strumento di ascolto”. E i social, come facebbook e twitter, possono essere una minaccia? Secondo Andrea Volterrani (studioso di sociologia della comunicazione e teoria e tecnica della comunicazione di massa, Università Tor Vergata, Roma) sono semmai una risorsa: «La radio si è sempre basata sul filo diretto con l’ascoltatore: il popolo è abituato a telefonare per dire la sua opinione e, oggi, fa la stessa identica cosa, solo che usa i nuovi strumenti relazionali: un post, un tweet, un sms…».
Secondo Volterrani esistono tre motivi per cui la radio può mantenere la sua importanza sociale: “Il primo è sicuramente la sua prossimità rispetto alle persone e ai fatti; il secondo concerne la sua capacità di stare sia nel centro che nella periferia; e il terzo motivo riguarda l’ottimo rapporto di contaminazione che è riuscita ad avere con i social media relazionali come facebook e twitter”. Maiorella, dal canto suo, individua però alcune criticità: «E’ vero che, non avendo la possibilità di dare spazio all’immagine, la radio è costretta a ossificare i contenuti ed è immune dal problema per esempio della curiosità morbosa. Ma ha altre problematiche come la segmentazione del pubblico, pensiamo per esempio alle radio delle squadre sportive o a quelle ideologico-confessionali che ne fanno un uso autoreferenziale. E l’unico modo per combattere ciò è entrare in tutte le notizie, quindi senza sceglierne alcune a danno di altre, ma con un preciso punto di vista che, nel nostro caso, è quello del territorio, del volontariato e dei suoi protagonisti».
Lo studioso di Tor Vergata, però, fa un passo avanti e individua un elemento fondamentale che potrebbe condurre lontano: «La novità nel rapporto radio-società è l’esperienza delle web radio sociali che nascono nelle periferie. Queste saranno sicuramente capaci di aggiungere e modificare i metodi e i processi di comunicazione conosciuti fino ad oggi. E ciò deriva anche dal fatto che la radio è il medium più giovane, nonostante i suoi novant’anni: sia per età media degli ascoltatori, sia perché ha ancora forte dentro di sé la capacità di raccontare e renderti protagonista».
Insomma, dal Salone dell’Editoria Sociale, è scaturita una certezza: non solo la radio non sarà debellata dalla tecnologia ma addirittura ci salverà, almeno nella misura in cui è oggi l’unico mezzo di comunicazione che non ha ancora sgretolato il patto che lega la realtà a colui che la racconta.