“SUD EUROPA, MEDITERRANEO: IL VOLONTARIATO MERIDIONALE E LE SFIDE DELLA NUOVA SOLIDARIETA’” parte seconda
La seconda parte del testo di Don Tonino Bello che nell’ambito di un discorso sul rapporto tra volontariato e comunicazione sociale, il nostro progetto, “Pazzi per la radio 2 – Fuori la voce” , ha affrontato proprio con questo discorso quanto mai attuale e riproponibile alle nuove generazioni .
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BISOGNA RICOMPRENDERSI
E’ necessario, cioè, che il volontariato si ristudi la parte che deve recitare.
Che prenda sempre meglio coscienza, cioè, della sua nuova identità, i cui tratti caratteristici mi pare di scorgere in questi due elementi.
Anzitutto il volontariato deve sentirsi figlio primogenito. Anche se non unico, della solidarietà.
E’ ormai diventata un classico la descrizione di questa madre nel n. 38 della “Sollecitudo Rei Socialis” “La solidarietà non è un sentimento di vaga comprensione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia il bene di tutti e di ciascuno, perchè tutti siamo veramente responsabili di tutti. Tale determinazione è fondata sulla salda convinzione che le cause che frenano il pieno sviluppo siano la brama di profitto e quella sete del potere di cui si è parlato. Questi atteggiamenti e strutture di peccato si vincono solo ( presupposto l’aiuto della grazia divina) con un atteggiamento diametralmente opposto: l’impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a perdersi a favore dell’altro invece di sfruttarlo ed a servirlo invece di opprimerlo per il proprio tornaconto”.
Ho detto che non è solo il volontariato ad essere figlio della solidarietà così intesa. Ci sono tanti moduli di impegno umano che, pur professionalizzato e retribuito o comunque gratuito o non inquadrabile in un contesto religioso, possono per la loro fondamentale onestà dirsi, a pieno titolo, figli legittimi della solidarietà. Credo sia dovere del volontariato operare con gioia il riconoscimento di questi fratelli germani. Come pure credo che sia suo diritto smascherare teutte quelle “sosia” vestire come la madre, ma che con la solidarietà non hanno nulla da spartire.
In nome della solidarietà internazionale si fanno guerre nel Golfo, in nome della solidairietà internazionale si sostengono i regimi sanguinari somali ed etiopi; in nome della solidarietà nazionale si schierano gli eserciti si porti di Bari per rispedire a casa gli Albanesi dopo averli umiliati; in nome della solidarietà civile si mettono i tossici in carcere, ci si difende ghettizzando i malati di AIDS e si criminalizza il diverso…dimenticando che questi infelici non sono i malati della nostra società , ma sono piuttosto quelli che portano il peso di una società malata.
Il volontarito deve essere capace di togliere il trucco a queste travestite e di scoprire gli altarini sotto le cui tovaglie sante l’ambiguità crea legittimazione.
In secondo luogo, il volontariato oggi deve sentirsi padre di cultura, più che produttore di servizi. Generatore di coscienzas critica, più che gestore degli scarti residuali dell’emarginazione sfuggiti alle ben remunerate ditte appaltatrici del bisogno.
Fattore di cambiamento della realtà, più che titolare di un assistenzialismo inerte, che spesso legittima lo sfruttamento o per lo meno addormenta quel moto di irriducibilità ad ogni forma di oppressione.
Il volontariato, cioè, oggi è chiamato a promuovere coscienza critica. E il suo indubbio interesse per la maginalità deve giungere anche alla stroncatura serrata dei processi emarginativi: alla demolizione, cioè, delle strutture di peccato “come dice il papa, o “strutture din regressione” come dicono i vescovi nel documento “Chiesa italiana e mezzogiorno”.
E’ necessario che il volontariato si ricomprenda in questa sua fertilità progettuale, in questa sua fecondità di innovazioni, in questa sua creatività di moduli, con cui riscopre lo stile della vigilanza, della denuncia, del controllo sulle logiche che presiedono alla confezione delle leggi e dei bilanci. Il volontariato deve riscoprirsi padre e non accontentarsi di rimanere tutore.
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BISOGNA RICOLLOCARSI
Il volontariato ( meridionale soprattutto), deve fare una chiara scelta di posizione. Deve decidersi da che parte stare sull’ampio scenario del mondo contemporaneo. Supposto che non voglia rimanere dietro le quinte. Questo situarsi su di un preciso asse della ribalta connoterà il suo impegno, fonderà la sua credibilità e deciderà la qualità del suo servizio. Si deve fare volontariato ascoltando Maastricht, la città dove hanno ratificato l’unificazione economica europea o ascoltando giornalmente gli immigrati del Maghreb? Dando fiducia all’Europa dei Mercati o prestando l’orecchio all’Europa dello scirocco? Investando la speranza sulle categorie elaborate dai “mai^tre penser” del Nord o puntando sulle logiche costruite dagli inquilini che abitano i sotterranei del Sud?Preferndo gli Osservatori collocati al centro o mettendo l’occhio ai grandangolari piazzati in periferia? Il volontariato insomma, oggi deve fare una netta scelta di campo. Deve schierarsi. Non può continuare as essere pacificato. Pacifico, si non violento. Deve Saper cogliere il significato conflittuale della povertà.
Non gli è consnetito di starsene buono in un angolo, mentre sa che in Italia ci sono otto milioni e mezzo di poveri e che nel Meridione un terzo della popolazione non si trova garantita a nessun livello della pura sussistenza. Non può tollerare che, stante questa sperequazione, ci si avvii poi a ratificare un nuovo patto sociale e costituzionale intessuto per intero sugli interessi dei più forti. Non gli è lecito mantenersi equidistante quando vede che il Sud Italia è il luogo pradadigmatico dove si manifestano gli stessi meccanismi perversi che, certamente in modo più articolato, attanagliano tutti i sud della terra. Questa nuova visione planetaria, che ci fa scorgere come i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno, deve spingere il volontariato a decidersi da che parte stare se vuole che la sua azione sia demolitrice delle strutture di peccato, o rimanga invece una semplice opera di contenimento e di controllo sociale, come di utile ammortizzatore, tutto sommato funzionale al sistema che tali sperequazioni produce e coltiva.
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BISOGNA RICOLLEGARSI
Questo significa due cose.
Anzitutto, che il volontariato deve trovarsi rapporti nuovi con gli altri attori che, sia pur con ruoli diversi agiscono sullo stecsso scenario a vantaggio delle stesse categorie a rischio. Accettare di lavovare con gli altri, senza gelosie, senza smanie di protagonismo, senza la lusinga di sentirsi dire che si è più bravi degli altri. Promuovere una nuova cultura tra volontariato e pubblica istituzione, perchè, al di là di ogni equivoco di concorrenzialità, si strutturi una organica conitnuità di servizio a vantaggio dei poveri. Avere la gioia di collaborare insieme a progetti buoni e magari guidai da altri, senza a str troppo a sottilizzare sul nome del progettista o sulla collocazione politica del capo-cantiere. Non star lì a menar vanto ad ogni piè sospinto, della gratuità del proprio servizio continuamente comparato con l’evolversi di altri gruppi e istituzioni ( cooperative di gestione dei servizi etc.) verso traguardi remunerativi. Il volontariato non deve far pesare questa sua connotazione liberale, quasi che il lavoro degli altri fosse prodotto da interessi puramente mercantili. Semmai deve collocarsi come provocazione o come segno perchè chi fa un lavoro retribuito dia alla sua azione le cadenze della gratuità. In secondo luogo il volontariato deve trovare rapporti nuovi con la platea. Con il pubblico dei poveri e degli emarginati nei confronti dei quali deve sentirsi beneficato più che benefattore: perchè i poveri, gli esclusi e i reietti hanno da donarci tanto. Vi ricordate quel ritornello di Fabrizio De Andrè”Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori”?Quanto hanno da darci i poveri oggi! Vi leggo un brano che ho scritto per i miei catechisti in cui voglio far capire, commentando il pragrafo ! Della Gaudium et Spes, che i poveri hanno da arricchirci tantissimo…!
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BISOGNA RICONNOTARSI
Anzitutto, tenendo presente che, il volontariato meridionale ( ma non solo meridionale) deve esprimersi in un contesto caratterizzato dalla caduta della legalità. E’ impazzita la legge ( nomos) che regola la conduzione della casa ( oika). E’ saltata cioè l’economia.
Le regole di condotta indispensabili in ogni ordinata società, sono state soppiantate da altre regole che privilegiano la forza della giustizia, l’arbitrio sul diritto, il “fai da te” sugli articoli di legge, il “self service” normativo sulle istanze del bene comune legittamente codificate. Assistiamo, cioè, all’eclisse della legalità. Viene meno la pratica e il rispetto delle leggi, mentre si incurva la fiducia nella legge ha offerto buoni motivi per “organizzare la disorganizzazione”. Sono proliferate così, le molteplici organizzazioni mafiose, fortemente modernizzate e interdipendenti, che poggiando su logiche clientelari, rappresentano un’opportunità concreta di accedere alla ricchezza al consumo, all’accaparramento delle risorse, dell’attività imprenditoriale. Di questa situazione il volontariato oggi non può non tener conto per calibrare il suo intervento e per prepararsi anche al martirio. Perchè, se è vero che ci si deve schierare, è chiaro che si deve passare dall’altra parte del potere, si deve passare il guado, si deve smetterla con i complici silenzi, si deve rischiare la pelle ( si deve scendere nella navata della piazza e diventare mistici dell’impegno sociale ) dopo aver attinto alla linfa della fede antica nel presbiterio del tempio.
In secondo luogo, organizzando la resistenza, disegnando strategie non violente, promuovendo clamorose obiezioni di coscienza al potere dei capi, alla giustizia sommaria, alle feste patronali in cui spesso il mafioso del posto vuole consolidare la sua immagine e consolidare il suo potere apparendo come persona di chiesa e ad essa collaterale, rispondendo alle sfide dei potenti mafiosi : “voi sparerete le vostre lupare, noi suoneremo le nostre campane”. In terzo luogo, coltivando l’ansia profonda di solidarietà presente nel Sud, istintivamente portato alla costruzione di una civiltà multirazziale, multietnica, multireligiosa. C’è nel meridione una innata disponibilità all’accoglienza del diverso. Non per nulla il Mezzogiorno è divenuto crocevia privilegiato delle culture mediterranee, vede moltiplicarsi al suo interno le esperienze di educazione alla pace, si riscopre come spazio di fermentazione per le logiche della nonviolenza attiva, avverte come contrastare con la sua vocazione naturale i tentativi di militarizzazione del territorio e vi si oppone con forte determinazione. In quarto luogo, assumendo le Categorie della pace e della nonviolenza attiva, per risanare i ritardi del Mezzogiorno. L’Europa che nasce deve fare i conti con il sud d’Italia, il quale nella sua coscienza emergente, si rifiuta di assolvere al ruolo di “icona della subalternanza” per tutti i sud della terra, ma vuole sempre più decisamente presentarsi alla ribalta mondiale come “icona del riscatto” dalle antiche schiavitù. Ed in forza di questo riscatto che il Sud d’Italia respinge la prospettiva di essere utilizzato come baluardo militare dell’Europa protesa nel Mediterraneo come “arco di guerra” e non come “arca di pace” E infine, assumendo la speranza come filo rosso che attraversa il nostro impegno e sostiene il nostro messaggio il quale, in fondo è un messaggio di liberazione.
Fine