“SUD EUROPA, MEDITERRANEO: IL VOLONTARIATO MERIDIONALE E LE SFIDE DELLA NUOVA SOLIDARIETA’” parte prima

Don-Tonino-Bello Il titolo di questo articolo è lo stesso di un messaggio di Don Tonino Bello, messaggio attuale e sicuramente toccante malgrado sia stato letto dallo stesso Don Tonino nel gennaio 1992. Nel corso di una delle più toccanti puntate del nostro programma “Pazzi per la Radio 2 Fuori la voce” il brano sotto riportato è stato letto a più voci e con momenti di grande commozione.  E’ stato trascritto per consentire anche una lettura personale ed intima.

Nato ad Alessano (Lecce) il 18 marzo 1935, Antonio Bello rimarrà sempre, anche quando sarà Vescovo,” don Tonino. Figlio di un maresciallo dei carabinieri e di una donna semplice e di grande Fede, trascorre l’infanzia in un paese ad economia agricola ed impoverito dall’emigrazione. Assiste alla Morte dei fratellastri e del padre.

Ragazzino sveglio, finite le elementari, è mandato, per poter continuare gli studi, in seminario, prima ad Ugento poi a Molfetta. Frequenterà l’ONARMO (opera nazionale assistenza religiosa e morale degli operai).

L’8 dicembre 1957 è ordinato Sacerdote e dopo un anno sarà nominato maestro dei piccoli seminaristi. Nei successivi 18 anni sarà capace di mediare tra severità del metodo ed esigenze giovanili. Lavorerà per la diocesi come redattore di “Vita Nostra”.

In una pagina del diario del1962 dirà di sé:”(…)Dio mio, purificami da queste scorie in cui naviga l’ anima mia, fammi più coerente, più costante. Annulla queste misture nauseanti di cui sono composto, perché ti piaccia in tutto, o mio Dio”.

Alla fine degli anni ’70 è nominato parroco di Tricase: l’esperienza in parrocchia gli fa toccare con mano l’urgenza dei poveri, dei disadattati, degli ultimi.

Nel 1982 viene nominato Vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi e nel 85, presidente di “Pax Christi”.

Comunione, evangelizzazione e scelta degli ultimi sono i perni su cui svilupperà la sua idea di Chiesa (la “Chiesa del Grembiule”) Lo troviamo così assieme agli operai delle acciaierie di Giovinazzo in lotta per il lavoro, insieme ai pacifisti nella marcia a Comiso contro l’installazione dei missili, insieme agli sfrattati che ospiterà in episcopio (“Io non risolvo il problema degli sfrattati ospitando famiglie in vescovado. Non spetta a me farlo, spetta alle istituzioni: però io ho posto un segno di condivisione che alla gente deve indicare traiettorie nuove(…),insinuare qualche scrupolo come un sassolino nella scarpa.).

Rinuncia ai “segni di potere” e sceglie il “Potere dei Segni”: nascono così la Casa della Pace, la comunità  per i tossicodipendenti Apulia, un centro di accoglienza per immigrati dove volle anche una piccola moschea per i fratelli Musulmani.

L’inevitabile scontro con gli  uomini politici si fa durissimo quando diventa presidente di Pax Christi: la battaglia contro l’installazione degli F16 a Crotone, degli Jupiter a Gioia del Colle, le campagne per il disarmo, per l’obbiezione fiscale alle spese militari, segneranno momenti difficili della vita pubblica italiana. Dopo gli interventi sulla guerra del Golfo venne addirittura accusato di incitare alla diserzione.

Eppure c’è stata sempre una limpida coerenza nelle sue scelte di uomo, di cristiano, di sacerdote, di vescovo. E’ stato così coerente da creare imbarazzo perfino in certi ambienti, compresi quelli curiali: sapeva di essere diventato un vescovo scomodo.

Ma la fedeltà al Vangelo è stata più forte delle lusinghe dei benpensanti e delle pressioni di chi avrebbe voluto normalizzarlo.

La marcia pacifica a Sarajevo, di cui fu ispiratore e guida, sebbene già malato, rappresenta la sintesi epifanica della vita di don Tonino: partirono in 500 da Ancona il 7

Dicembre 1992, credenti e non, di nazionalità diverse uniti dall’unico desiderio di sperimentare “un’altra ONU”, quella dei popoli, della base. Nel discorso pronunciato ai 500 nel cinema di Sarajevo dirà: ”Vedete, noi siamo qui , Probabilmente allineati su questa grande idea, quella della nonviolenza attiva (…).Noi qui siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà(…).Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati”.

Pochi mesi dopo, il 20 aprile 1993, consumato da un cancro, muore senza angoscia e con grande serenità.

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“SUD EUROPA, MEDITERRANEO: IL VOLONTARIATO MERIDIONALE E LE SFIDE DELLA NUOVA SOLIDARIETA’”

Carissimi amici, vi chiedo in anticipo di perdonare la povertà del mio contributo e l’eccessiva schematizzazione concettuale di quanto sto per dire. Vi assicuro, in contraccambio che non pronuncerò nessuna parola che non sia profondamente interna alla mia esperienza.

Intendo comunicarvi, infatti, ciò che avverto come vescovo della strada, abituato, per temeramento o per missione, a coinvolgere la gente nell’avventura del volontariato, ma che oggi, di fronte alle nuove domande dei mondi, e di fronte ai repentini cambi della scena sociale, sente di dovere modulare i termini della proposta.

Ho parlato di scena e volgio mantenere la metafora. Sicchè mi rivolgerò al volontariato come protagonista sotto le luci della ribalta e gli affiderò un “pentalogo”. Cinque precetti.

Anzitutto, perchè comprenda che, essendo cambiato lo scenario, non può recitare come prima: è necessario, quindi, che prenda atto dei mutamenti avvenuti attorno a sé. In secondo luogo perchè comprenda la nuova parte che deve sostenere, e non ci sia confusione fra i ruoli nella sua “performance”. In terzo luogo, perchè sappia collocarsi sulle giuste posizioni per non girare a vuoto e creare sconcerto.

In quarto luogo, perchè si sappia rapportare con gli altri attori interagendo con essi per l’ottimizzazione del risultato scenico; e infine perchè si connoti di quelle caratterizzazioni particolari che lo preservino dal pericolo di far semplicemente comparsa. Scandirò quindi le cinque parti di questo intervento:

  1. BISOGNO DI RICOMPRENDERE

  2. BISOGNA RICOMPRENDERSI

  3. BISOGNA RICOLLOCARSI

  4. BISOGNA RICOLLEGARSI

  5. BISOGNA RICONNOTARSI.

  1. BISOGNA RICOMPRENDERE

Se è vero che il volontariato nasce sostanzialmente dall’amore, occorre dire che il più grande atto d’amore consiste nel conoscere le coordinate spazio temporali, peraltro sempre cangianti, su cui i poveri di oggi consumano il loro crepuscolo. Non è pensabile che io qui possa mettermi a descrivere lo scenario che si dispiega sotto i nostri occhi. Non finirei di raccontarlo e già sarebbe nuovamente cambiato, tale è la rapidità con cui accadono i mutamenti. Però posso indicare certe costanti che connotano questo cambiamento. Anzitutto la dilazione del tempo. Il tempo è divenuto un recipiente elastico che contiene un numero sempre più alto di fatti. Nell’arco di un anno se ne condensano più di quanti, prima, se ne concentrassero in un secolo. Non si fa in tempo a comprare una carta geografica, che bisogna subito cambiarla. Quando, fra otto anni, entreremo nel terzo millennio, forse avremo l’impressione di transitare in una nuova era geologica. Speriamo che non sia di glaciazione. Il 31 dicembre Ceronetti, sulla Stampa di Torino, descriveva questo trasmutare dell’ultima delle 4 cifre fino all’anno 2000 quando sarebbero comparsi tre zeri, e concludeva angosciato: “Speriamo che gli zeri siano tre e non quattro, e che non debba cioè azzerarsi anche il due!”. In secondo luogo la concentrazione dello spazio. Ha fatto tanta fortuna l’espressione “villaggio globale”, che non c’è più bisogno di indugiare su ulteriori riflessioni. Oggi, proprio come se stessimo in un villaggio, siamo messi al corrente in tempi reali di quello che accade nella zona più remota del mondo: anche se, molto spesso, la nostra inerzia non subisce scossoni. In terzo luogo, l’allungarsi della strada, che porta verso l’alto. Sembra paradossale, ma mentre il mondo si è rimpicciolito alle dimensioni di “Rio Bo” di Palazzeschi ( tre casettine dai tetti aguzzi..vi ricordate?), le vie all’interno del villaggio sono divenute lunghissime. Ci vuole una vita per andare a bussare alla porta del fratello e incontrarsi finalmente con lui. In quarto luogo, la presa d’atto dell’interdipendenza. Nel bene e nel male. Si va sempre più riconoscendo il legame che stringe in un’unica sorte gli uomini e i popoli tra di loro. Si afferra meglio di prima il riverbero positivo che la situazione felice degli altri può avere sulla propria vita, così come oggi si comprende, con maggior lucidità di ieri, che un sistema di violenza e di oppressione, sia pur lontano, scatena nefaste conseguenze a catena su tutti. Del resto i fenomeni della malavita organizzata, della diffuzione della droga e del commercio delle armi, non sono universalmente riconosciuti interdipendenti tra di loro, al punto da far giudicare ingenui i tentativi di combatterli con strategie diversificate?

In quinto luogo, il pendolarismo tra presa d’atto dell’interdipendenza e bisogno di rifugirasi nel piccolo.

Per cui, per un verso si innescano processi di internalizzazione a livello economico, culturale politico per un altro verso scoppiano preoccupanti fenomeni di chiusura nei sottomultipli di identità ampie. Ciò che sta accadendo in Italia con il fenomeno delle leghe, ciò che accade in tante parti dell’Europa con il rincrudirsi del razzismo, ciò che avviene nei paesi dell’Est col risogere dei nazionalismi latenti, demoni preversi che minacciano di far esplodere una miscela ad alto potenziale è molto sintomatico.

Ecco, allora. Lo scenario è cambiato. Bisogna ricomprenderlo e una volta per tutte. Occorre alienarsi all’effimero. Diversamente il volontariato rischierà di recitare a soggetto la sua parte con gli antichi criteri teatrali dell’unità di tempo, di luogo, d’azione, che oggi non reggono più, risultano sfasati rispetto ad appena dieci anni fa.

Fine prima parte 

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