La comunicazione sociale: uno sguardo oltre ( parte 2 )
Continua il nostro percorso attraverso i testi utilizzati durante il corso di formazione. riprendiamo dunque da dove avevamo interrotto e ricordiamo che autore del testo è il Professore Sandro Stanzani, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Verona.
” Il processo di autonomizzazione della comunicazione (dai vincoli delle sfere socio-cultuali esterne al sistema dei media, così come l’autonomizzazione dei singoli attori della comunicazione: emittente, ricevente, astanti, etc.) è stato accompagnato da quello della sua differenziazione. Non si tratta solo della differenziazione tra interazione faccia a faccia, interazione mediata e comunicazione di massa, ma anche della differenziazione interna ai processi della comunicazione di massa. Ciò che è più rilevante in questa sede è il processo di differenziazione che ha portato le scienze della comunicazione a distinguere nell’ambito della comunicazione di massa la comunicazione privata, quella pubblicae la comunicazione sociale. Lo statuto di queste forme di comunicazione è tutt’altro che definito, in particolare per ciò che riguarda la comunicazione sociale. In effetti non è chiaro perché si debba qualificare come sociale una certa forma di comunicazione di massa. Ogni tipo di comunicazione, in quanto presuppone una forma (più o meno piena) d’interazione, non è di per se stesso sociale? Allora perché parlare di comunicazione sociale? Cosa c’è di sociale nella comunicazione sociale? La risposta a questa domanda è decisiva per comprendere il fenomeno. In realtà le diverse definizioni (pubblica, privata e sociale) mettono in relazione i processi della comunicazione di massa con le sfere istituzionali della società (Stato mercato, etc.). Un’incursione nei risultati prodotti dalle scienze della comunicazione può tornare utile per capire meglio il fenomeno. In genere le scienze sociali hanno utilizzato tre criteri per differenziare i tipi di comunicazione mediatica: l’emittente, il contenuto e la finalità del messaggio.
Molto spesso la distinzione tra i vari tipi di comunicazione è realizzata o a partire dal tipo d’organizzazione che opera come emittente e realizza la campagna. Si parla così di comunicazione “privata” in riferimento alla comunicazione pubblicitaria commerciale ad opera delle imprese.
Mentre si parla di comunicazione pubblica , per le campagne di comunicazione realizzate dagli enti pubblici su tematiche di interesse generale. All’interno di questa categoria gli autori hanno distinto poi altre tipologie :
comunicazione istituzionale volta a dare visibilità e a promuovere l’immagine degli enti dell’organizzazione pubblica;
comunicazione (o informazione) normativa che rende pubbliche le decisioni e le azioni delle organizzazioni pubbliche ;
comunicazione di pubblico servizio avente lo scopo di diffondere la conoscenza e l’utilizzo dei servizi di interesse generale offerti al cittadino .
Ed infine si parla di comunicazione di solidarietà sociale per ciò che riguarda l’azione comunicativa degli enti nonprofit (Faccioli 2000; Grandi 2001).
Si riferisce invece al contenuto del messaggio Mancini (1999, XI-XIV) che definisce “comunicazione sociale propriamente intesa” quella comunicazione volta a promuovere “un’idea, un valore, un tema d’interesse generale relativamente controverso”, e Gadotti (2001, 24), per la quale “la comunicazione sociale è quell’insieme di attività di comunicazione, messo in atto da un soggetto pubblico o privato, volto a promuovere finalità non lucrative e avente per oggetto tematiche di interesse sociale ampiamente condivise”.
Altrove, Gadotti (2005, 48) affianca all’aspetto di contenuto lo scopo della comunicazione sociale che “riguarda temi, questioni e issues di interesse generale, il cui obiettivo prioritario è quello di sensibilizzare o educare determinati pubblici di riferimento”. Al criterio della finalità guarda più decisamente Morcellini (2004), quando parla della comunicazione sociale come di un “ambito estremamente ampio ed eterogeneo, caratterizzato da una logica chiamata a provocare un effetto onda all’interno dei rapporti sociali e da cui si propagano orientamenti condivisi”.
Vi è anche chi (Fabris 1992) utilizza il concetto di comunicazione sociale per applicarlo esclusivamente al campo della comunicazione persuasiva, cioè alla pubblicità, e distingue, nell’ambito della pubblicità senza scopo di lucro, tra:.
advocacy advertising come la forma di comunicazione più simile alla pubblicità commerciale poiché orientata ad “ottenere il consenso intorno a tematiche su cui esiste una manifesta o latente divergenza di opinioni […] La sua finalità consiste essenzialmente nel fare chiarezza su aspetti controversi, sostenendo posizioni chiaramente di parte, anche se spesso si sottolinea la presunta universalità delle tesi sostenute” (Fabris 1992, 587);
pubblicità pubblica come forma di comunicazione che radica nell’attività informativa svolta degli enti pubblici moderni , ma da essa si distingue nettamente per via del suo dichiarato intento persuasivo intorno a temi di interesse collettivo volto a stimolare processi di crescita sociale o per promuovere l’immagine degli enti pubblici, renderne trasparente l’azione e facilitare al cittadino l’uso dei servizi;
pubblicità sociale come forma di comunicazione persuasiva che, indipendentemente dall’organismo che la realizza, è finalizzata alla “promozione di finalità socialmente rilevanti siano queste la prevenzione dei tumori o la campagna contro l’Aids, la dissuasione dal fumo …” (ibidem, 589).
continua….