LA MIETITURA DEL GRANO; RAGGIUNTO UN PRIMO OBIETTIVO DEL PROGETTO P.A.P.R.I.C.A.

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Affrontare le difficoltà, in fondo, fa parte della mission quotidiana di chi si interessa di disagio mentale e soprattutto si organizza per rendere quel disagio, quella fragilità, un elemento di recupero non solo individuale, ma bensì sociale, con tutto quel che comporta.

Ciò che vale per gli uomini, in effetti, poi vale anche per le cose: per una masseria abbandonata e disastrata, per esempio, diventata nel tempo discarica di rifiuti d’ogni gene, dalla plastica all’amianto, dagli pneumatici alla sgarrupatura, ricettacolo, insomma, d’ogni genere di sconvenienza! Pertanto un luogo bisognoso d’essere preso in carico ed accompagnato verso un destino quantomeno diverso dall’abbandono, dal rifiuto, dall’abiezione, dalla morte per incuria.

Quando arrivammo lì, in quella masseria divorata dai rovi, in buona parte occultata e sommersa dai rifiuti avvertimmo tutta la sofferenza che ogni singola pietra, ogni palmo di terra era in grado di esprimere per tanto abbandono!

Ci caddero le braccia! L’impresa era di quelle impossibili: rigenerare un disastro!

Però, siccome siamo abituati a rigenerare persone altrettanto scartate, rifiutate ed emarginate ci facemmo forza e così, come siamo soliti guardare i nostri ragazzi dentro gli occhi e dentro l’anima, ci imponemmo di gettare lo sguardo e il cuore oltre le pietre sgarrupate di quella masseria sofferente, triste e tormentata e cominciò a farsi largo, tra i lembi del dolore e dell’abbandono, una sorta di visone, un sogno, una fantasia, un miraggio.

Decidemmo, senza troppi giri di pensieri, che lì avremmo realizzato la nostra “utopia vagante”: una fattoria di prossimità, al servizio del territorio circostante e gestita dai nostri fragili e meravigliosi ragazzi senza tempo. Una follia! senza dubbio alcuno. Ma se non ci si mette un pizzico di sale, se non si osa proponendosi l’impossibile, i sogni non troveranno mai la strada per realizzarsi.

Naturalmente, per chi è abituato ad affrontare le difficoltà della quotidianità, doversi misurare anche con avversità e complicazioni straordinarie, non è che sia proprio una passeggiata, ma ci si mette poco a superare l’imbarazzo delle insolite circostanze. Infatti, venne il covid e il corso degli eventi cambiò radicalmente. Per un po’ ci fermammo: obbligatoriamente. Poi, passo dopo passo nell’arco di 2 anni abbiamo bonificato l’intera area (non senza dolorosi esborsi) Non c’è più ombra di amianto e di sgarrupatura e di plastiche e di pneumatici e pure i rovi sono stati in buona parte domati. Restano i ruderi su cui, però, nutriamo speranze che alimentano il sogno, la visione ed il miraggio, ma, forse forse, la speranza si farà “fatto, atto e progetto”. E noi saremo lì, pronti, con le maniche rimboccate e cogliere l’occasione propizia.

Nel frattempo abbiamo cominciato a lavorare la terra. Abbiamo realizzato un primo modulo della serra. Portato la corrente fino al pozzo che abbiamo riattivato e così ci apprestiamo pure a realizzare l’impianto di irrigazione. Naturalmente tutte queste belle cose per concretizzarsi hanno dovuto attraversare i deserti della buracrazia e le nebbie degli atti tecnici e le atrocità dei prezzi pazzi. Ma ne stiamo venendo fuori malgrado il covid, la guerra, l’aumento dei costi e tutto quello che in due anni è accaduto non senza toccare, complicandole, nel nostro piccolo, le attività che ci riguardano.

È cronaca di oggi: abbiamo raccolto il grano! È la prima produzione che esce da quella masseria dopo tanto abbandono e non poteva che essere il grano! Quel grano, oggi, tanto agognato.

Quel grano andrà ai Mulini di Napoli, e da li uscirà farina per le pizze! È grano in conversione bio, quindi non trattato ed è il grano del riscatto, della rigenerazione di un luogo e della prospettiva per quanti ruotano intorno a questo sogno che sta diventando progetto.

Come ogni buona mietitura è stata una festa a cui hanno dato il loro contributo i ragazzi del gruppo di convivenza, quelli fragili al pari della masseria, ma forti di una visione per il futuro.

È stata una giornata faticosa, ma siamo felici. Come si suol dire: ripagati dal frutto del nostro lavoro.

Certo poteva andare un po’ meglio, ovvero avremmo potuto fare più quintali.

Ma siamo stati penalizzati dalle troppe pioggie a novembre e dicembre e dalla siccità a marzo aprile e maggio. Ha fatto poco freddo a gennaio e febbraio e troppo caldo a giugno, ma come recita un verso della tammurriata nera, “addò pastin’o grano, o gran’ cresc’. Riesc o ‘nu riesc, semp gran’ è chell ch’esce”.

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