Museo del Vulture, la Via della Fauna
di svalegambientepotenza
Al centro dei nostri approfondimento c’è ancora il Museo di Storia Naturale del Vulture di Monticchio.
Lo scorso articolo lo abbiamo dedicato alla prima sezione “Il cammino dell’uomo”, dedicata alla presenza dell’uomo nel territorio del Vulture, mentre ora ci dedichiamo alla seconda tappa: “La Via della Fauna”.
La Via della Fauna
Il percorso sugli animali include alcune tappe particolarmente significative: il parco di Federico II e l’arte di cacciare col falcone, il Riparo Ranaldi con i graffiti mesolitici, l’Uomo preistorico di Atella (le prime cacce all’elefante e la straordinaria industria litica), la storia dei laghi pleistocenici (la rarissima impronta di elefante preistorico). Altri spazi del museo sono dedicati agli habitat che si sono formati ed evoluti negli ultimi 100mila anni, alla preziosa biodiversità che oggi costituisce motivo di grande interesse, protezione, tutela e salvaguardia.
Le specie animali che hanno abitato il Vulture non sono state sempre le stesse. Il clima e la presenza dell’uomo sono stati determinanti della composizione della fauna locale. Sappiamo, infatti che, in tempi remoti, gli orsi venivano catturati dai Romani per essere utilizzati nei loro circhi e l’ultimo orso, secondo Giustino Fortunato venne ucciso verso la metà del ‘600 da un conte di casa San Severino. Lo stesso Fortunato ci parla della presenza del capriolo ancora all’inizio del ‘900. Anche la nidificazione dell’aquila reale era abituale del Vulture, numerose testimonianze la riportano, non molto tempo fa, sulle rupi del Lago Piccolo. Cervi, caprioli e cinghiali erano abbondanti tant’è che venivano catturati da vere e proprie spedizioni spesso organizzate per dar diletto ai re e alle loro corti.
Il primo capitolo di questa sezione museale si riferisce alla figura di Federico II di Svevia che indicava il Vulture come il “mio parco”. Egli percorreva i sui boschi e le sue radure per catturare i falchi da addestrare alla caccia, passione per lui irresistibile. Con il suo trattato “De arte venandi cum avibus” realizzò uno tra i più antichi e dettagliati tomi a tema ornitologico di sicuro ispirato dal suo luogo prediletto: il Monte Vulture. La montagna è ricca di rapaci, tre le numerose specie troviamo il nibbio reale, presente con una popolazione di nidificanti che rappresenta una consistente parte dell’intera popolazione italiana.
Il secondo capitolo si riferisce al sito mesolitico noto come Riparo Ranaldi. Troviamo preziose figure realizzate in ocra rossa da un uomo di oltre 9mila anni fa che costituiscono un vero messaggio antecedente all’evento della scrittura. Si tratta di un antico cacciatore che indica agli altri la presenza di cervi nel bosco di querce. Il complesso pittorico, realizzato con stile verista, non trova in Italia confronti possibili poiché la sua modernità risiede nel fatto di mettere in relazione l’animale al suo habitat.
Il terzo capitolo della sezione fauna ha come tema il sito preistorico di Atella, oggetto, da molti anni, del lavoro del paleontologo Fiorentino Edoardo Borzatti Von Lowernstern. Sulle rive dell’antico lago pleistocenico, insieme ai suoi collaboratori, ha realizzato uno scavo che ha portato alle luce straordinari reperti databili tra i 7mila e 550 mila anni fa. Questi ritrovamenti ci raccontano dell’uomo preistorico del Vulture e della sua consuetudine a cacciare gli elefanti, della sua abilità nel lavorare le pietre e di scegliere le rocce in funzione del loro uso. Tutto questo ci permette di comprendere le strategie di sopravvivenza di un uomo che si organizzava e si coordinava in gruppi.
Inoltre, due interessantissime impronte fossili di pachiderma rappresentano testimoniano impantanamento, a poche decine di metri dalla riva del lago, di un elefante probabilmente oggetto di una battuta di caccia collettiva.
Il tema della caccia continua nella sezione museale: in una nicchia è esposto un nido di calabroni sopra un antico bugno (un pezzo di tronco cavo utilizzato per contenere sciami selvatici di api e alcuni telaini di un’antica di una moderna arnia). Sappiamo che l’ape e il calabrone sono due specie apparentemente simili ed evolutivamente vicine ma l’ape è preda del calabrone. Spesso, infatti, i calabroni si appostano in vicinanza delle arnie per catturare in volo le api appesantite dalle nettare del polline raccolto durante il pascolo.
La visita al Museo di Storia Naturale aiuta a riconoscere gli ambienti che ci circondano, la loro evoluzione anche attraverso i testimoni fossili o ancora viventi, i reperti storici e i documenti.
Cosa aspettate, è l’occasione giusta per conoscere il Vulture di ieri e di oggi.
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