Casa di Toti al giro di boa: tra impegno lavorativo e vita indipendente
di lacasaditotionlus
Anche per il progetto Casa di Toti è giunto il momento del giro di boa. A circa un anno e mezzo dall’avvio delle attività progettuali ed a quasi un anno dall’implementazione delle attività di inclusione lavorativa e di residenzialità per i ragazzi autistici che partecipano al progetto, abbiamo chiesto alla dottoressa Valentina Genitori, responsabile delle attività di supervisione scientifica del progetto curate dall’Associazione Amorevolmente Insieme, di fare con noi un piccolo briefing sulle attività fin qui sviluppate mettendo a fuoco tutti i punti di forza e le criticità fin qui riscontrate, in un modello gestionale, ricordiamolo, che è non solo innovativo ma anche unico nel panorama siciliano.
Supervisione scientifica di progetto, in cosa consiste?
L’equipè multidisciplinare si occupa di programmare le attività che è possibile svolgere con tempi e modalità diverse per i singoli ragazzi. L’equipè deve sempre avere chiaro il “funzionamento” dei singoli che, trattandosi di soggetti adulti, non si esaurisce in una chiara diagnosi nosografica, ma in una vera analisi di competenze e limiti del singolo. Altro aspetto rilevante è l’analisi dei bisogni e delle aspettative delle famiglie, che vivono una situazione spesso complessa di isolamento e solitudine. I singoli percorsi individualizzati e di gruppo vanno costruiti in funzione degli obiettivi a lungo termine, nel nostro caso un progetto di vita seminidipendente.
Attività lavorative e residenzialità: quali sono i punti di forza di questo modello integrato?
Il modello che proponiamo parte da una centralità di tutti gli aspetti di vita del singolo: non esiste solo l’aspetto riabilitativo, abilitativo, ma bisogna focalizzarsi sul miglioramento della qualità della vita. Le attività di laboratorio, terapia occupazionale, socializzazione e sport, servono per testare le competenze dei ragazzi e verificare verso cosa sono propensi, sia loro stessi che le loro famiglie. E’ in questo contesto che si inseriscono i progetti di Casa di Toti: con livelli crescenti di indipendenza e autonomia, nella prima fase si propongono gli stage che sono delle esperienze brevi ma abbastanza strutturate con dei cardini simili alle attività che i ragazzi sono già abituati a svolgere e con i medesimi punti di riferimento (gli operatori vengono mantenuti costanti). Questo sistema ci permette di puntare sulle capacità di adattamento e sulle abilità funzionali del ragazzo. L’esperienza di una settimana poi modifica tale struttura perché si allungano i tempi di distacco dalla famiglia e le nuove routine sono prolungate così come si necessita di una capacità superiore di gestire il tempo libero. Infine, la residenzialità è una vera e propria esperienza di vita autonoma, con regole, ritmi definiti, attività, ruoli e funzioni stabilite, la riproduzione di una vita familiare con la mediazione di operatori competenti.
Quali sono le principali criticità riscontrate?
Il vero limite al progetto è posto dalla situazione contingente che mette a rischio la sostenibilità economica del progetto: gli aumenti delle utenze in particolare e le difficoltà economiche di molte famiglie fanno sì che i ragazzi siano visti come risorsa. Inoltre non è facile far capire e accettare alle famiglie il reale potenziale innovativo di un progetto del genere. La costituzione e l’individuazione di un gruppo di ragazzi pronto davvero a giovare del potenziale del progetto non è facile da trovare. Così come in alcuni casi non è semplice valorizzare l’unicità e le competenze dei singoli operatori coinvolti.
Il mondo del terzo settore è pronto a questa rivoluzione?
La rivoluzione vera parte da una più adeguata presa in carico per il paziente adulto con neurodiversità che faccia sentire accolta e sostenuta la famiglia, e diminuisca il senso di solitudine troppo spesso sperimentato. Il mondo del terso settore deve essere pronto perché la responsabilità dell’inclusione è la vera sfida del nuovo millennio.
Se potessi continua questo progetto, cosa aggiungeresti?
Investirei maggiormente nella formazione di tutti gli attori che stanno alla base di un vero contesto inclusivo, dove la forza è davvero il ruolo di famiglie, professionisti ed aziende che concorrono unitamente al raggiungimento del risultato.