La storia di Francesco, per 13 anni dipendente da droga e azzardo: “Mio figlio mi ha salvato”

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Gli occhi puntavano dritti nei suoi, era alto quanto la gamba del padre eppure con la straordinaria spontaneità tipica dei bambini gli si proiettò innanzi, sicuro e deciso. Davanti, aveva il figlio di sei anni ma in quel momento vide anche l’uomo che lo avrebbe condannato a diventare tra delusioni e domande irrisolte, se non si fosse dato una mossa.

“Una sera, mio figlio, mi chiese se mi facessero male le gambe o la schiena. Gli dissi di no ma gli domandai anche, perché me lo stesse chiedendo e lui mi elencò tutte le volte che lo avevo rifiutato, perché dicevo di essere stanco o di non sentirmi bene. Ad ogni sua richiesta di attenzione, lo avevo allontanato e questo lo rattristava. La delusione gliela lessi chiara negli occhi, l’espressione del suo viso mi pietrificò. Drogato tutte le volte in cui mi aveva chiesto di passare del tempo con lui e drogato anche quella sera. Stavo sbagliando tutto e mio figlio che non riuscivo a far felice, mi sussurrò, pur non sapendolo, un’alternativa possibile”. Il racconto di Francesco 39 anni di Caivano, controverso paese del Napoletano, comincia così: con una sequenza di immagini come in un trailer ma senza finzione cinematografica. Quando tutto ebbe inizio, cogestiva un bar con un parente della ragazza che sarebbe poi diventata sua moglie. Fu un amico a proporgli di provare la cocaina e poi da lì il gioco d’azzardo.

Quella volta rifiutai ma non le volte successive. Ero convinto di poterla gestire anche perché lavorando in un bar e tornando tardi la sera non avevo neppure bisogno di inventare particolari scuse con mia moglie, che certo aveva anche cominciato a sospettare qualcosa ma senza avere la certezza di quello che stavo combinando”. Spesso con l’innesco della dipendenza tutto diventa meccanico ed automatico ma Francesco ricorda ogni particolare. “Più avanzavo e più non mi rendevo conto dove stessi andando a sbattere. Chiedevo soldi ad amici e parenti per continuare a distruggermi, arrivando a domandarli pure a mia moglie mentre era ricoverata in ospedale per un serio problema alla gola”.

La dipendenza è durata 13 anni e Francesco ne parla alternando sorrisi imbarazzati e smorfie di dolore, capaci di fargli increspare il viso. Un dolore, arrecato e sofferto, che i ricordi fanno riaffiorare con intensità. Tornata a casa, dopo una lunga degenza ospedaliera, la moglie lo affrontò mettendo in fila tutte le sue mancanze e tutto quello di cui sarebbe stato privato se avesse continuato a percorrere quella strada senza alcuna via di uscita. Antonio, il suo piccolo eroe lo avrebbe perso per sempre e questo Francesco lo sapeva con certezza. Non poteva permetterselo. Intravidi una luce alla fine di quel tunnel di cocaina e azzardo ma non avevo ancora abbastanza forze per alzarmi dal baratro nel quale ero piombato”.

Da piccolo aveva adorato suo padre, perso quando avrebbero avuto ancora tante cose da dirsi e condividere. “Papà è morto tra le mie braccia, mi ha insegnato tutto quello che so ed il pensiero di non poter trascorrere più la mia vita con mio figlio, è come se avesse sciolto l’incantesimo di cui ero vittima”, dice Francesco trattenendo a stento l’emozione, chiuso nella sua tenuta sportiva di colore blu, pulita e perfettamente stirata. C’è cura nella sua figura e pure nei modi, gentili e naturalmente protettivi verso gli altri. Da buon uomo del Sud, come prima cosa ci porta il caffè. “L’ho fatto io!”, dice con orgoglio lasciandoci assaporare la dolcezza e l’onda di fierezza la ritroviamo ancora, con piacere, verso la fine del nostro incontro quando Francesco ammette di sentirsi forte. Il passato è come se appartenesse a un’altra persona. Lavora per una ditta edile ora e sta seguendo un percorso riabilitativo grazie all’AslNa2 e al progetto Game Over sostenuto da Fondazione CON IL SUD che ha potenziato le attività del Centro contro le dipendenze legato al SerD di Acerra, in provincia di Napoli. Il progetto Game Over è stato ideato per il contrasto del gioco d’azzardo e delle pluridipendenze. È portato avanti grazie ad un partenariato sociale ed istituzionale, secondo una formula innovativa che sta dando risultati straordinari. Francesco, al Centro ha trovato il coraggio di ammettere di avere una dipendenza e facendo i conti con il senso di colpa e con la vergogna, ha ricominciato a vivere.

I miei datori mi hanno accolto e compreso, così come si fa con un fratello e di questo li ringrazierò sempre. Ho ritrovato con loro, il piacere di ridere e di fermarmi dopo il lavoro solo per fare due chiacchiere con i colleghi. Mia moglie e la sua famiglia, hanno colmato quel vuoto che sentivo dentro, scavato con la morte di mio padre e dal mancato affetto di mia madre, completamente disinteressata a me e al mio destino. L’accudimento lo ha sempre riservato alle mie quattro sorelle mentre io, l’unico figlio maschio, ero l’estraneo in casa. Molti aspetti e dettagli li ho compresi dopo e so che il cammino non è affatto terminato. So bene di dover stare ancora molto attento e di dover avere la schiena dritta ma ora, tutte le sere, gioco con mio figlio tra sorrisi ed abbracci. Guardo mia moglie negli occhi e non ho il bisogno di distogliere lo sguardo. Allo specchio, vedo un Uomo”.

a cura di Tina Cioffo

 

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