Stefano, allo Stop and Go per ripartire libero dalle dipendenze
di unfioreperlavita
Cunicolo di vie senza uscita, questa è stata la vita di Stefano fino al Game Over. Da ragazzino bullizzato si è trasformato in aggressore, vittima di ogni tipo di dipendenza. La corsa verso l’autodistruzione dopo il carcere è ora allo Stop and Go.
Stefano ha 22 anni ma le vicissitudini che ha affrontato da quando di anni ne aveva appena 14, farebbero impallidire chiunque. Bullismo, droga, gioco d’azzardo, satanismo, autolesionismo, carcere, comunità per tossicodipendenti e poi la morte del padre. Nel suo passato fin troppo breve per contenere ogni cosa, il carico emotivo è impattante. Da luglio 2022 è ospite nel Gruppo appartamento Stop and go di Acerra, nel Napoletano, ed è da questo punto che è necessario partire per riavvolgere il nastro dei ricordi, far fluire i pensieri e metterli in ordine. “Nella casa di Acerra ci vado almeno tre giorni a settimana, fa parte del mio percorso terapeutico per ricostruire la mia identità”, dice Stefano guardandoci dritto negli occhi mentre appoggia entrambe le mani sul tavolo. Ha la felpa con un logo giapponese, ama anime e manga. Le maniche sono leggermente alzate, lasciando intravedere i tatuaggi di teschi che si è fatto fare quando era recluso a Poggioreale, istituto di pena di Napoli.
“Venni arrestato quando – ricorda– avevo 18 anni, denunciato dai miei genitori dopo l’ennesima aggressione che avevo compiuto perché cercavo soldi per distruggermi con le dipendenze . Ora so che non avevano scelta e so anche che in quel periodo non volevo essere salvato. Ho fatto tante cose brutte con le quali devo imparare a convivere”. Ha scontato una pena di due anni ed otto mesi, dove ha visto e subito cose difficili anche da ammettere.
“Sono tornato in libertà il primo giorno dell’anno 2022, per rivedere mia madre la raggiunsi a Roma dove stava anche mio fratello che è nell’esercito. Riabbracciarla è stato importante perché ha in qualche modo avviato il perdono che devo a me stesso. Avrei voluto stringere a me anche mio padre ma mentre ero in carcere è morto di infarto. Aveva solo 53 anni e prima di morire, come se entrambi avvertissimo l’urgenza di parlarci, l’ho sentito spesso al telefono. Mi chiedeva come stessi, come trascorressi le mie giornate rinchiuso in una cella. Credeva nonostante tutto, che ce l’avrei fatta a capire chi sono”, racconta Stefano mentre addolcisce lo sguardo al ricordo. E’ solo un momento perché per continuare a raccontare senza soccombere alle emozioni contrastanti, serve lucidità e freddezza.
“Parlare è importante – dice Stefano- e se lo avessi capito prima, non starei qui in questo momento. Quando frequentavo la scuola media sono stato pesantemente bullizzato, offeso, spintonato, picchiato e mi sono sempre tenuto tutto dentro. In una o due occasioni tentai, in verità, di dirlo ai miei genitori ma non comprendendo il problema mi dissero che avrei superato ogni cosa. Non è stato così”.
Il primo anno di scuola superiore fu il primo girone infernale, cui ne sono seguiti tanti altri passando per il satanismo, le ferite auto inferte, l’azzardo, il vagabondaggio e la perdita di ogni orientamento. “Per mesi ho vissuto per strada, riparandomi alla meglio e frugando nei cesti del fast food. Un randagio senza meta e senza nessun appiglio, poi finalmente la tempesta è finita”, il viso di Stefano si rasserena di nuovo. Il suo viso, curatissimo, prende colore. A luglio, grazie alle attività del Dipartimento delle Dipendenze Patologiche guidato da Vincenzo D’Auria e del Ser.D ad esso afferente, del progetto Game Over finanziato da Fondazione CON IL SUD per il contrasto delle dipendenze in particolar modo dal gioco d’azzardo, Stefano ha ritrovato degli amici. Ci sono persone che se ne prendono cura, che si preoccupano per lui lasciando che continui il suo cammino per trovare finalmente se stesso. Ce la farà, ad occuparsi di lui c’è anche Giuseppe, il papà che voleva solo vederlo felice.
a cura di Tina Cioffo
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