Libri in carcere. “Donne che raccontano”
di comunitadeiliberi
“Quando si aprono le porte del carcere ti aspetti di percepire subito la sofferenza e la severità di una limitazione assoluta della libertà – racconta Elvira Tomarchio, coordinatrice del progetto La Comunità dei LibEri – in verità varcata la soglia del carcere di Piazza Lanza a Catania non abbiamo sentito paura, né disagio. Tutto appariva sereno: le detenute, le guardie. Si riusciva persino a scorgere attimi di libertà. Poi nella stanza sono arrivate le donne detenute e abbiamo iniziato a conoscerci. Abbiamo iniziato a leggere insieme”.
Il progetto La Comunità dei LibEri sostenuto da Fondazione con il Sud e dal CEPELL in collaborazione con ANCI ha l’obiettivo di portare il libro dove di solito non si legge e di portare la gente che non legge nelle biblioteche. Un continuo sperimentare di iniziative, strategie, occasioni per favorire la lettura e aiutare a trasformare le biblioteche in luoghi vivi, popolati, cuori pulsanti di una cultura aperta a tutte e tutti.
L’impegno del Comitato Antico Corso, capofila del progetto, continua a varcare frontiere materiali e immateriali. Il libro e le letture animate arrivano ovunque: nei luoghi della storia della città, nei mercati, nei parchi, tra stranieri, non vedenti, bambini, quartieri abbandonati. In questi giorni le letture sono entrate anche nella sezione femminile del carcere di Piazza Lanza, grazie a una collaborazione avviata con l’Istituto grazie all’impegno della Direttrice Nunziella Di Fazio.
“Da tempo lavoriamo con le donne sul tema del contrasto alla violenza di genere – ci racconta la Dottoressa Di Fazio – consapevoli che quella violenza è spesso frutto di un’asimmetria tra uomo e donna e che quindi è necessario creare consapevolezza nelle donne, sulle loro potenzialità, sul loro ruolo. Quest’anno allora abbiamo scelto di focalizzare il nostro lavoro su questo, incentivando la realizzazione di iniziative con questo scopo”. È a questo punto che arriva la proposta di Elvira Tomarchio di portare letture di donne, per donne, all’interno del carcere. È una piccola ma profonda rivoluzione di significati. Quando si scrisse il progetto e si immaginò come titolo “La Comunità dei LibEri” si scelse di giocare sul senso di libri e liberi, consegnando l’idea che il libro genera libertà, apre gli orizzonti, spalanca le porte della mente e dell’anima. Mai si sarebbe pensato, a quel tempo, che quelle parole di libertà avrebbero trovato un senso così profondo portando la lettura anche in carcere. “Donne che raccontano”, si chiama così il titolo dell’iniziativa, con letture di novelle e racconti di Giuseppe Pitrè su usi, costumi e credenze del popolo siciliano. Laboratori di lettura condotti da Nunziata Blancato e Cristina Piazza. “Un’occasione – dice la Dott.ssa Di Fazio – per comprendere la donna in Sicilia e nel mondo. Attraverso l’analisi del ruolo che aveva la donna in passato si è arrivati a capire il ruolo della donna oggi, con un passaggio indiretto ma chiarissimo sulla violenza, la sottomissione, la paura della libertà delle donne”.
Ma quale ruolo assumono i libri in carcere? In una situazione di privazione della libertà, ha un valore diverso leggere? In una condizione di tempi vuoti, di spazi da riempire, che ruolo ha la lettura? “C’è una frase di Baricco, all’inizio di uno dei suoi libri, molto calzante, che mi torna in mente adesso: un libro è una finestra sul mondo. Io lo credo davvero. Un libro ti fa entrare in un mondo diverso da quello che vivi e questo vale dentro e fuori il carcere. In carcere certo noi dobbiamo riempire tanti vuoti. Questo lo facciamo con le attività, che dovrebbero essere individualizzate, capaci di portare i detenuti a prendere coscienza di sé. Noi dobbiamo tentare di evitare che si evitino i vuoti, l’abrutimento nell’ozio. I libri ci aiutano molto. Non è semplice riempire tutto lo spazio temporale tra l’ingresso in carcere e il momento in cui si esce fuori. Bisogna fare in modo che quel tempo non sia solo un tempo di attesa. Dal libro impari, il libro può aiutare a crescere, il libro è uno strumento di studio. Il carcere di Catania è un polo universitario e consente a tanti di conseguire la laurea. Anche quelli universitari sono libri”.
Quanto leggono le detenute? “Abbastanza. Ma dipende dal livello culturale. C’è chi non ha gli strumenti per leggere, chi non ha mai letto un libro”. Anche a questo serve la lettura animata proposta dal progetto, non solo leggere ma ascoltare leggere. E così dare spunti per capire gli altri e capirsi. Conquistare piccoli pezzi di libertà.
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