“Alle mafie diciamo noi” con Giuseppe Gatti e Gianni Bianco
Per combattere la mafia che si insinua subdolamente attraverso le crepe della divisione sociale c’è bisogno di una collettività, un “noi”, consapevole e coraggioso. Si può riassumere con queste parole il messaggio che Giuseppe Gatti – sostituto procuratore della DDA di Bari – e Giovanni Bianco – giornalista del Tg3 – vogliono trasmettere nel loro libro, intitolato “Alle mafie diciamo NOi”. Il saggio è stato presentato venerdì sera presso il Laboratorio della legalità “Francesco Marcone”, nel corso della tappa conclusiva di “Ciascuno cresce solo se sognato”, serie di incontri organizzati dalla Cooperativa Sociale Pietra di Scarto con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del caporalato e dell’antimafia sociale. Gli autori, dialogando con il segretario provinciale di Libera Salvatore Spinelli, hanno spiegato come i destinatari privilegiati del loro libro siano i ragazzi: «Se un messaggio è chiaro a loro è comprensibile per chiunque – dice Bianco -. Il metodo che abbiamo elaborato è stato raccontare alcuni simboli dell’antimafia cristallizzandoli nel momento in cui scelgono da che parte stare, ovvero quando hanno quindici o sedici anni, proprio l’età dei ragazzi con cui vogliamo comunicare».
Gatti e Bianco, che hanno trascorso l’adolescenza in prima linea, facendo volontariato nei quartieri più difficili del barese, sanno benissimo che per trasmettere questo messaggio ai più giovani bisogna raccontare storie di vita reale, per dimostrare come questa scelta di vita un giorno potrebbe toccare anche loro: «Il rischio più grande che corre l’antimafia è quello di raccontare storie che gli adolescenti sentano troppo distanti, che abbiano poco a che fare con la vita quotidiana – prosegue Bianco -. È molto più difficile raccontare queste storie dal punto di vista del buono, perché si rischia di scadere nel buonismo, così abbiamo provato a raccontare con una nuova narrazione storie che ti fanno sentire che c’è vita e c’è speranza».
Tema centrale del libro è la contrapposizione tra l’identità del “noi”, che rappresenta la comunità, e quella dell’ ”io”, apoteosi della mafiosità. Due modelli che trasmettono modi diversi di vedere la società: «L’io e il noi sono vere e proprie categorie giuridiche – spiega Gatti -. Esiste anche una legalità mafiosa, una legalità verticale nella quale il superiore schiaccia l’inferiore, visto come un nemico e un problema». «La legalità mafiosa purtroppo è spesso più efficace di quella dello Stato – prosegue il magistrato -. È un sistema che si fonda sul dovere di omertà, che non si estende solo ai mafiosi ma a tutta la comunità».
Ed è proprio il dovere di omertà il più grave problema nel foggiano e del cerignolano, dove le mafie, oltre a godere di una certa indifferenza mediatica, come denuncia Bianco, sono riuscite a ridurre al silenzio una provincia prima con la violenza, poi estendendo le proprie metastasi nella società civile: «Siamo legati all’immagine della mafia stragista e militare. Ma per acquisire il controllo totale sul territorio non bastano solo le bombe – afferma il magistrato Gatti -. Oggi le mafie sono profondamente cambiate e perseguono il loro obiettivo con un metodo diverso, integrando alla memoria del terrore la connivenza e la convenienza. Se la mafia riesce a far sottostare il cittadino in maniera ‘soft’ guadagna molto di più, perché il suo potere non solo è più presente ma difficilmente intaccabile. Una mafia che non ha più bisogno di minacciare, intimidire e uccidere è una mafia che è molto più difficile da debellare rispetto a quando ci sono faide e guerre interne, sintomo che qualcosa si sta sgretolando nel sistema interno».
E quindi come può il cittadino contrastare una mafia che si è fatta terzo settore e garante del welfare? «Bisogna essere consapevoli che quei benefit che vengono offerti non sono altro che delle catene che legano la nostra libertà. Lo si fa ad esempio attraverso la scelta economica critica. Altrimenti si scende ad un compromesso per cui barattiamo la nostra libertà per la tranquillità e diventiamo dipendenti dalle mafie come un tossico lo è dalla droga». Il grande alleato delle mafie è quindi il silenzio, un nemico che, come ci insegnano le storie nel libro di Gatti e Bianco, può essere sconfitto anche senza gesti eclatanti con le scelte della vita quotidiana che diventano parte integrante della cultura civile in una comunità.
Giovanni Rubino (lanotiziaweb)
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