Casa e didattica a distanza ai tempi del Coronavirus nel quartiere Zisa di Palermo

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Oggi che ci troviamo ad affrontare l’emergenza del Coronavirus abbiamo bisogno ancora di più di ascoltare le voci dei nostri operatori, dei nostri educatori, degli insegnanti e dei ragazzi.

La prima intervista è ad Annalisa Morello, educatrice nata e cresciuta nel quartiere Zisa, più precisamente a Danisinni e che si occupa di educativa domiciliare.

Iniziamo da un’immagine che ci aiuti a comprendere 

Come un volatile costretto alle sbarre, così si sentono molti bambini, prigionieri di un contesto che li opprime. A ridosso del primo decreto, quando ancora potevo svolgere il servizio presso le loro case, un bambino manifestava frustrazione e disagio. Ciò era dovuto sia al  carico di compiti che le maestre avevano pensato di assegnare, sia al fatto di essere costretto a rimanere in casa. Non tutti hanno la fortuna di vivere nell’agio. Spesso infatti le case sono strette, prive di finestre e di spazi abitabili. Inoltre spesso sono abitate da più componenti o addirittura da più famiglie. Essere costretti a stare in casa, può davvero soffocare. Soprattutto quando a farlo sono ragazzi, bambini, che non stanno fermi neanche per un momento, che corrono dimenandosi dietro un pallone, che assaporano ogni lembo di strada e godono dell’aria che a volte sa di smog ma che diventa più salutare dell’aria che è possibile respirare a casa. La dimensione della casa influisce, come influisce il numero di persone che la abitano. Allora, quel legittimo e coscienzioso invito a rimanere casa, diventa ingombrante e pesa, pesa come un macigno.

Riguardo la didattica a distanza

Non tutti posseggono i mezzi per poterne fruire e non tutti purtroppo sanno utilizzarli. Bambini e adolescenti si trovano in balia di un flusso di pagine inesauribile, incapaci di sapersi destreggiare tra l’una e l’altra materia. Si sentono  inadatti e si convincono che la scuola proprio no, non fa per loro.

Molte mamme poi, si esasperano perché non sanno aiutare i figli, non vogliono essere sorde alle loro richieste, ma non riescono, non hanno le competenze giuste e allora nasce il caos, la frustrazione di un attimo che può degenerare e produrre conflitti. Non tutti abbiamo l’opportunità di ricavarci in casa uno spazio dove sperimentare noi stessi dando sfogo all’immaginazione.

La chiusura dei centri aggregativi come  il Centro Tau o dell’oratorio della parrocchia S. Agnese ha destabilizzato totalmente bambini e ragazzi abituati a frequentarlo.

 

L’aspetto economico è estremamente preoccupante

Come un’onda che si scaraventa sugli scogli, queste famiglie sono state scaraventate al suolo, incapaci di provvedere a se stesse. Le restrizioni attuate hanno portato alla chiusura di esercizi commerciali e attività e questo ha privato molti lavoratori della possibilità di vivere e di portare la pagnotta a casa.

Una delle pagine più vergognose della nostra terra è il lavoro in nero. Quindi ragazzi e padri di famiglia oggi sono chiamati a fermarsi. Non sanno come portare un pasto caldo a tavola, come pagare le bollette, come rendere felici i propri bambini, si vedono mancare la terra sotto i piedi, vedono svanire le proprie speranze. Chi lavorava vendendo qualche articolo al mercato, oggi non può farlo. Così inizia la fase più triste, quella della depressione, del sentirsi un genitore fallito, inappropriato, incapace di appagare i bisogni primari dei figli. Di quei figli troppo giovani per comprendere, troppo immaturi per accettare che un padre, una madre, non possano rispondere tempestivamente alle loro richieste. Allora in questo vortice di pensieri negativi e di situazioni difficili, iniziano le isterie, i litigi, i conflitti più dolorosi e insopportabili. È proprio in quel momento che quelle mura, quelle del conforto, del focolare domestico, diventano le mura di una prigione che non si è certi di quando poter lasciare.

Cosa significa per te il tuo lavoro

Da quando svolgo il Servizio di educativa domiciliare, ho conosciuto e toccato con mano le vicende più complesse e anche le più belle, ogni momento vissuto a contatto con questi ragazzi e le loro famiglie è una ventata d’aria fresca per me, è conferma della mia scelta professionale, è bellezza, è gioia e a volte consolazione, rabbia, delusione.

I ragazzi che seguo non sono solo parte di un servizio che si esaurisce in poche ore, loro sono per me qualcosa di più. Le loro storie, i loro problemi, i loro segreti, le loro paure, li porto con me. Di certo non si assopiscono quando termino le ore che segno sul registro. Spero di tirar fuori da questi ragazzi speranze, desideri, sogni, spero di essere quella presenza in grado di fare la differenza e che li renda felici al pensiero di scoprire e di apprendere.

Inoltre alla luce di questo ultimo periodo, sono ancora più convinta dell’importanza dell’educativa domiciliare. Dovrebbe essere prevista per bambini e adolescenti del rione che oggi sono abbandonati a se stessi e costretti a trascorrere lunghi giorni in casa con familiari che non riescono a dare loro ciò di cui hanno bisogno, non soltanto in termini educativi, ma anche dal punto di vista economico. Per questo ritengo che continuare a esercitare il mio lavoro, anche attraverso un semplice smartphone, sia fondamentale e per certi versi salvifico.

La Zisa poi è anche il mio quartiere: sono di Danisinni. La mia gente, la stessa che quando esco da casa di solito mi osserva e mi sorride. Quel sorriso che profuma di dignità e che rischia di frantumarsi come una bolla di sapone a causa dei danni immensi che questa emergenza sanitaria ha portato con sé.

 

 

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