Le attività del Centro Tau e i Poli della comunità educante durante l’emergenza

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L’epidemia Covid-19 ci ha sorpresi in piena attività. Nei primi giorni abbiamo cercato di resistere, andare avanti, continuare a programmare. Il periodo di carnevale ci aveva visti impegnati in un programma di due settimane con diverse manifestazioni che hanno coinvolto tutti i Poli e centinaia di bambini e genitori. Un grande entusiasmo.

Poi le scuole sono state chiuse e siamo entrati nel tempo dell’attesa e dell’incertezza. Che fare? Come esserci? Come continuare?
Ci siamo avvicinati piano, con cautela, per paura che le fondamenta dei nostri Poli potessero crollare da un momento all’altro. E invece quelle fondamenta non solo reggevano ma si svelavano giorno per giorno nel loro ruolo di pilastri. Scuole, Centro Tau, parrocchie, tutti gli altri partner sono ripartiti attivando iniziative, cercando soluzioni, ma soprattutto relazionandosi, cercando sinergie per evitare il crollo dell’intero assetto territoriale del quartiere.

Guardare il qui e ora, accogliere i bisogni, le esigenze, colmare i vuoti, riorganizzare i sistemi a distanza, ma nello stesso tempo proiettarsi in avanti, provare a fare “di necessità virtù”, mettere in

campo le visioni su cui stavamo costruendo la Comunità Educante per attivare e praticare i processi sui quali ci eravamo confrontati e che avevamo condiviso. Primo fra tutti la “comunità educante a tempo pieno” oggi espressione significativa che ha visto nella sussidiarietà collaborativa l’attivazione di processi comunitari importanti di cui tener conto nei mesi che verranno.

Allora ciò che era laterale è diventato centrale: le famiglie, la relazione con loro e con i loro bisogni. Si è rafforzata la consapevolezza che una rinascita sociale ed economica deve partire dal contrasto alla povertà educativa dei più giovani e deve necessariamente coinvolgere le loro famiglie. Famiglie che in quartieri come la Zisa – una periferia del mezzogiorno con altissimi livelli di povertà educativa – si sono sempre avvertite come escluse e per reazione hanno maturato estraneità e diffidenza verso ogni forma di istituzione, compresa la scuola.

Non perdiamo i pezzi è stato lo slogan delle iniziative di comunicazione del Centro Tau: non lasciamo indietro nessun bambino, nessuna famiglia, trasformiamo la nostra comunità in una cornice capace stringersi salda attorno ai bisogni di tutti, anzi a partire dai bisogni di tutti.
«È stato un tempo faticoso, ma nello stesso tempo fertile» – dice Francesco Di Giovanni, coordinatore di Inventare Insieme (onlus) e del Centro Tau «dopo un primo momento dedicato all’ascolto, alla lettura sociale, al confronto all’interno e all’esterno della comunità ci siamo concentrati sulle modalità attraverso le quali il sistema operativo, relazionale, emotivo e fiduciario che avevamo costruito negli anni potesse organizzarsi per rispondere in tempo reale ai vecchi e ai nuovi bisogni. La cultura aperta all’innovazione e alla generatività che ci ha sempre caratterizzato poteva essere uno dei punti di forza significativi e così è stato. Ho visto in azione una grande orchestra con strumentisti che agivano in luoghi diversi ma che trasmetteva ai bambini una armonia solidale, ricca di attenzione, di empatia, capace di dare e ricevere fiducia e impegno».

Già dall’indomani del lockdown gli educatori, gli insegnanti, gli operatori erano tutti a lavoro. Il filo comune è stato ripartire dall’ascolto, con qualunque mezzo, in qualunque modo. Chiedere a ciascuno dei ragazzi e dei bambini della comunità cosa mancava, di cosa aveva bisogno, ascoltare le famiglie e cercare nella comunità le risorse e le risposte da dare.

Tanti i bisogni che giorno per giorno emergevano. I mezzi per poter fare didattica a distanza – la grande maggioranza dei bambini non aveva a casa nessun supporto tecnico né connessione a internet – i bisogni familiari, l’alimentazione, gli affitti le bollette da pagare, le bombole di gas finite. La difficoltà di rimanere in casa per i tanti che non avevano spazi adeguati, come racconta Pippo Morello – Associazione Insieme per Danisinni: «Le famiglie di Danisinni vivono in case che spesso si riducono a una o due stanze. Danisinni la casa viene concepita nei suoi spazi interni ma anche esterni, il fuori è spesso una continuazione dello spazio interno. Eppure sono riuscite a rispettare le regole, per me questa è già una piccola conquista».

Si scopriva che giorno dopo giorno quegli stessi bambini non avevano da mangiare o avevano un fratello neonato a cui mancava il latte. Telefonate, messaggi, gruppi whatsapp, videochat hanno invaso le vite degli operatori della comunità educante. Nessuno si è tirato indietro.
Inizialmente in maniera spontanea e poi in forme sempre più coordinate e organizzate si è attivata una rete che a oggi ha cercato, in tutti i modi, di non lasciare indietro nessuno.La pandemia che ci ha costretto al distanziamento fisico, ha realizzato un’incredibile vicinanza sociale permettendo di arrivare lì dove non eravamo mai arrivati, ma da cui eravamo partiti: le famiglie, cuore del progetto eppure a volte così distanti e diffidenti, così quanto collaborative e partecipative.

«Stiamo vivendo un trauma collettivo senza precedenti, e bisogna narrarlo» riflette Angelo Scuderi, psicologo dell’Arpi che per la Comunità Educante segue il sostegno psicologico per famiglie e ragazzi. «Narrare questo trauma collettivo per far sì che non diventi un momento isolato, sia per le famiglie, che per i bambini e gli adolescenti. La parola può salvare, permette di comprendere cosa è stato e cosa sta succedendo, generando così una trasformazione e una rilettura della propria esperienza che può risignificarsi e può essere condivisa».

Come sempre avviene sono le piccole storie, i particolari capaci di svelare in maniera più efficace i concetti generali. Nel raccontare dunque il processo autopoietico che ha generato la nostra comunità educante all’indomani dell’epidemia, dobbiamo partire da un disegno.

All’indomani del lockdown i balconi italiani si sono riempiti di arcobaleni disegnati dai più piccoli con l’augurio Andrà tutto bene. Molti bambini del territorio Zisa Danisinni non avevano la possibilità di dirsi che sarebbe andato tutto bene perché in casa non c’era spazio, non c’erano opportunità, non c’erano né fogli, né colori, né penne. Le famiglie, soprattutto in quel momento, non potevano permettersi di acquistarle. Allora si limitavano a guardare fuori e vedere che per alcuni andava tutto bene, se le case offrivano loro la possibilità di trascorrere il tempo usufruendo della didattica a distanza e di spazi individuali. Per alcuni, ma non per loro. Loro non avevano computer, in casa non c’era la connessione a internet, in più giorno dopo giorno le famiglie piombavano in uno stato di povertà assoluta.

Quel disegno ha generato un potente disvelamento delle diseguaglianze sociali che conoscevamo bene ma, come il contraccolpo generato dall’ennesimo proiettile sparato, ci ha costrutti a fare un balzo non indietro ma in avanti, generando una forte collaborazione tra persone ed enti. La relazione si è rivelata ancora il metodo fondamentale per creare comunità e fronteggiare i problemi che l’epidemia

aveva generato. Dopo poche settimane diverse centinaia di famiglie del quartiere avevano grandi difficoltà a trovare le risorse economiche anche per mangiare. E ciò, come Comunità Educante, ci riguardava.

Giorno dopo giorno si aggiungevano centinaia di storie, di immagini, di messaggi che non potevano lasciare indifferenti. Come le tante richieste di chi fino al mese prima aveva una situazione familiare stabile: piccoli commercianti, ristoratori ma anche i moltissimi lavoratori in nero che si trovavano senza nulla e costretti a chiedere aiuti per poter sopravvivere. Il dolore del sentirsi umiliati e la felicità nel ricevere il “pacco spesa”, era questo che si leggeva negli occhi di tante famiglie che ritiravano gli aiuti. Solo occhi, tanti occhi sopra mascherine di ogni tipo, improvvisate, colorate, già logore. Occhi negli occhi tra chi consegnava e chi riceveva gli aiuti, occhi che a volte non si conoscevano ma che si guardavano per un istante in una relazione subito profonda. Occhi che narravano incertezza, angoscia anche nelle persone più forti socialmente e economicamente che oggi invece si ritrovavano a richiedere aiuto.

«Come ambulante guadagnavo circa 15 euro al giorno, ma andava bene» ha raccontato Felice, un papà del quartiere, al TGR Sicilia. «Adesso non si può più uscire, bisogna rispettare le regole. Noi ci adeguiamo ma per i bambini piccoli servono pannolini, latte, cibo. Poi abbiamo l’affitto, le bollette. Non abbiamo nessun sussidio, non abbiamo aiuto. Ho 4 bambine una nata venti giorni fa, una di sette, una di undici e una di 16 anni. Come faccio? Non lavoro da dicembre. Un giorno vado da mia madre, un giorno da mia suocera. Come posso fare? Io non sono mai andato a rubare non voglio farlo».

Il fatto che l’epidemia corresse velocissima così come il fatto che chiudesse le porte di case, scuole, centri di aggregazione, parrocchie, generando un’emergenza sociale oltre che sanitaria, ci ha imposto di intervenire rapidamente e trovare nuove chiavi per aprire nuove serrature.

In una sorta di passaparola spontaneo, si è creata una rete tra il Centro Tau, le Parrocchia di Sant’Agnese e della Madonna di Lourdes e gli istituti scolastici Gabelli e Colozza Bonfiglio.
Un gradissimo lavoro di sostegno è stato fatto proprio dalle Caritas delle Parrocchie Sant’Agnese ai Dainisinni e Madonna di Lourdes. Fra Mauro Billetta e Padre Massimo Merlino, all’inizio di questa esperienza non si conoscevano, ma fin dai primi giorni hanno attivato con il Centro Tau un sistema in rete, anche con le altre Caritas Parrocchiali del territorio, che è riuscito a garantire assistenza e cibo a centinaia, forse anche migliaia, di famiglie. Un impegno quotidiano, di frontiera umanitaria, con tanti volontari disposti a superare le paure e rischiare personalmente per non lasciare nessuno indietro. Nel raccordo sull’assistenza il Centro Tau ha gestito la distribuzione dei beni alimentari e di prima necessità per i bambini da zero a tre anni. Un modo per alleggerire il carico delle parrocchie e nello stesso tempo attivare un contatto di sostegno e di supporto per le famiglie dei bambini. Sono stati accolti oltre 200 bambini e bambine, la maggior parte residenti nel territorio della Comunità Educante. L’incontro con questi bambini e le loro famiglie ci dà la possibilità di guardare al futuro,

di avviare iniziative educative a partire da questo importante periodo della vita per una crescita sana ed equilibrata. Una importante sfida della comunità per i prossimi mesi.
Nelle settimane che hanno preceduto la Pasqua è stato molto complesso far fronte ai bisogni, alle richieste spesso pressanti, alla necessità di accogliere in presenza e a dover garantire il distanziamento sociale. Nei “Poli di assistenza” oltre cinquanta persone si sono donate alla comunità senza sosta effettuando operazioni di carico, scarico, confezionamento e distribuzione di beni alimentari. Pasqua ha spezzato il ritmo anche grazie all’importante “alleggerimento dei bisogni” che è arrivato in quei giorni, dopo un mese di gravissima emergenza, dal Comune di Palermo attraverso l’erogazione dei buoni alimentari della Protezione Civile.

Con l’avvio delle procedure di richiesta dei buoni è emerso anche un nuovo bisogno: l’assistenza alle famiglie per la procedura informatica necessaria per l’attivazione. Oltre 400 famiglie sono state assistite nella compilazione e registrazione dei documenti per la richiesta del buono alimentare, messo a disposizione dal Comune di Palermo, dall’unità operativa della V circoscrizione Agenzia Sociale per la casa che ha operato al Centro Tau.

Le scuole per favorire la didattica a distanza hanno cercato di inventare soluzioni di tutti i tipi. Hanno distribuito tutti i computer disponibili e quelli che nel frattempo sono riusciti ad acquistare con il buono ministeriale. Chiaramente le disponibilità sono ancora insufficienti in considerazione dello stato di povertà di molte famiglie del territorio. Sono state avviate anche delle iniziative per ricevere donazioni e ulteriori finanziamenti per l’acquisto dei device che purtroppo arriveranno nelle prossime settimane e non saranno sicuramente sufficienti a coprire il bisogno. In raccordo con le scuole il Centro Tau ha attivato la distribuzione di kit scuola, contenenti materiali didattici da utilizzare per la didattica a distanza, ma anche nel tempo libero dei bambini. Sono stati distribuiti oltre 500 kit ai bambini e ragazzi da 4 anni in su. Gli stessi genitori hanno attivato un passaparola efficientissimo, avvertendo delle opportunità offerte nei diversi Poli. Lentamente, sono entrati nella prospettiva della Comunità Educante tanti genitori che non se ne riconoscevano come parte attiva.

Il contrasto alla dispersione scolastica, cruciale con la didattica a distanza, è stato realizzato in forte sinergia tra scuola ed educatori del Centro Tau, proprio perché ognuno capace di guardare e conoscere il ragazzo sotto aspetti diversi: abbiamo moltiplicato gli sguardi provando a non lasciare indietro nessuno. La sfida, soprattutto in vista delle prospettive future, è aperta.

«C’è ancora un pensiero verticistico che si sta sempre più ripensando in prospettiva circolare» ricorda Fra Mauro «L’intervento deve partire da un ascolto delle realtà che lavorano nei territori. Il capitalizzare l’esperienza della nostra comunità educante significa ripensare noi del terzo settore insieme al pubblico in una chiave circolare e interistituzionale».

Rigenerare il territorio tramite il suo tessuto sociale, che abbiamo mappato e messo a sistema. Se oggi ciò è avvenuto per far fronte all’emergenza, domani deve avvenire in termini di inclusione sociale e lavorativa. L’epidemia ha svelato uno degli ingredienti principali per costruire le fondamenta di un Polo ancora più ampio, quello dell’intera citta: l’inclusione intelligente, reale a partire dai bambini per arrivare ai genitori, un’inclusione di vicinanza che solo il terzo settore e le comunità educanti oggi possono realizzare.

«Bisogna realizzare un sistema educativo territoriale in cui le famiglie delle periferie sono messe al centro. Il nostro sistema territoriale si può evolvere in un’ottica autopoietica perché oggi ciascuno sa che attraverso l’altro può generare processi» afferma Francesco di Giovanni.

 

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