#CuntaIlSud: un rifugio antiaereo sotto roccia nel cuore di Catania

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Car* compagn* di viaggio,
scrivo da Catania per raccontarvi che in città, vicino vicino al centro storico, c’è un rifugio antiaereo sotto roccia, custode di molteplici memorie. Officine Culturali, insieme al Comitato Popolare “Antico Corso” e il Centro Speleologico Etneo, da qualche anno ne sta progettando l’apertura al pubblico. C’eravamo molto vicini, ma la pandemia ci ha costretti a rallentare il passo. 

Nel cuore del popolare quartiere dell’Antico Corso e in fondo ad un cortile di case terrane, il Rifugio di via Daniele racchiude storie e infinite memorie: il suo soffitto è costituito dalla roccia lavica del 1669 che coprì chilometri di territorio etneo e parte della città; c’è la cava di “ghiara” dove i tanti Rosso Malpelo, nelle cave come quella di via Daniele, diventavano rossi di capelli e nella carnagione per strappare la terra bruciata da sotto la città poi utilizzata a scopi edilizi; infine, vi sono tutti i segni della Seconda Guerra Mondiale, perché alla fine degli anni Trenta del ‘900 la Cava Daniele venne trasformata per accogliere un rifugio antiaereo, di cui sono conservate perfettamente tutte le tracce come le panche, le latrine, l’infermeria e i motti sui muri.

Ma con la fine della guerra il rifugio è diventato anche una discarica. Per riportare a galla le scale, che permettevano di scendere rapidamente alla grande sala sotterranea, è stato necessario rimuovere 20 tonnellate di terra, fango e rifiuti. Lo abbiamo fatto con l’aiuto degli abitanti del quartiere Antico Corso, riportando alla luce l’accesso al rifugio, ma allo stesso tempo scavando nella memoria di chi ne custodisce ancora il ricordo. In questi anni abbiamo ascoltato i racconti di uomini e di donne anziane che allora furono ricoverate in quella cavità e che con noi hanno condiviso leggende, ricordi d’infanzia, racconti di guerra, paura, povertà e solidarietà. E di liberazione. Come quelle di Maria e Isabella, bambine quando i genitori le portavano a riparo dai bombardamenti.

Il Rifugio, un #VuotoARendere, è stato e continuerà ad essere un esperimento di riattivazione corale di uno spazio significativo per la città ma abbandonato, un test per costruire un processo condiviso di gestione del patrimonio pubblico in un quartiere popolare, una “periferia storica” socialmente molto fragile ma ancora intenzionato a riscattarsi grazie al coinvolgimento diretto dei suoi abitanti e dei suoi utilizzatori. 

E da voi, quali memorie condivise emergono ancora oggi dopo tantissimo tempo? Raccontacelo scrivendo a raccontailsud@gmail.com

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