Una nuova vita è possibile. Anche per chi convive con un disturbo dello spettro autistico

Una “nuova vita” è possibile. Anche se si convive con un disturbo dello spettro autistico. Già nella scelta del nome, i fondatori di “Neomera” hanno contemplato questa probabilità. E come ben chiarisce Maria Paola Romeo, la presidente dell’associazione di volontariato nata nel 2007 con lo scopo di aiutare i minori e le famiglie – per quanto sia certo che da questa forma sempre più diffusa di disabilità, nella maggior parte dei casi, non si guarisce – è altrettanto vero che, se abilmente trattata, i risultati incoraggianti non mancano, anzi, sono ormai all’ordine del giorno. Più precoce è l’intervento (i disturbi dello spettro autistico cominciano a manifestarsi attorno ai due anni di età) più i progressi diventano notevoli. Ma ogni storia, ogni disturbo, è un fatto a sé, ecco perché oggi si parla di spetto autistico e non più solo di autismo. Troppi sono i casi particolareggiati, troppe le sfumature che scollegano quel disturbo da un altro e che il neuropsichiatra infantile dev’essere bravo ad intercettare in maniera tempestiva. Il momento della diagnosi, ci spiega Maria Paola Romeo, è il più difficile per una coppia di genitori: ammettere che il loro bambino, perfettamente normale fino ai due, tre anni di età, stia andando incontro ad una vera ed importante regressione, ha un impatto emotivo devastante. Quel bambino che hanno visto crescere e fare ogni giorno piccoli progressi, di colpo non parla più, non risponde alle varie sollecitazioni, preferisce isolarsi e concentrarsi sul solito gioco, che viene ripetuto nel solito, identico modo. Ma è forse la mancanza di sguardo che mette più in allarme i genitori confusi: da un giorno all’altro il loro bambino non prova più interesse per il mondo che lo circonda, se non per le poche cose che utilizza in modo ripetitivo e certo non funzionale. “Ho deciso di dedicarmi ai bambini che convivono con questa problematica da quando, frequentando il Centro di Riabilitazione di Fondazione Betania, ho assistito al dramma di tante famiglie che si scontravano ogni giorno con questa dura realtà – continua Maria Paola Romeo, che ha reso l’intervista all’ufficio stampa del CSV di Catanzaro – A parte le tre, quattro ore settimanali in cui si esaurivano le terapie convenzionate con il Servizio Sanitario (riguardanti, in particolare, i servizi di logopedia e psicomotricità), i genitori erano lasciati in balìa delle loro paure nella maggior parte del tempo, con la consapevolezza di non riuscire da soli ad affrontare una situazione più grande di loro. Da qui è nata Neomera”.

Forte del titolo di terapista occupazionale in materia sanitaria, Maria Paola Romeo, assieme alla terapista comportamentale Anna Tolomeo con la quale ha iniziato il suo percorso, ai soci e ai volontari, ha così iniziato ad operare a livello regionale, promuovendo eventi formativi con specialisti (tra questi il supervisore ABA di fama internazionale, Thomas Caffrey) anche all’interno delle scuole e con il coinvolgimento delle famiglie che, oltre a confrontarsi, avevano bisogno di apprendere le “strategie” da utilizzare a casa. Fino al 2012 le attività dell’associazione sono state garantite nella sede di Fondazione Betania di Catanzaro con il progetto Aware, ancora in corso, finanziato da Fondazione Con il Sud, ora l’impegno si concentra a livello locale e va avanti a seconda dei progetti in cantiere: i materiali occorrenti sono tanti, e le persone impiegate per lo svolgimento delle varie terapie differenziate per classi di venti, anche trenta bambini, devono essere molto qualificate. Con “Il giardino dei sorrisi”, il progetto nell’ambito territoriale ottimale di cui il comune di Catanzaro è capofila che ha ottenuto il finanziamento dalla Regione Calabria e il via libera dalla giunta comunale, “Neomera”, in qualità di partner, sarà presto chiamata a mettere in campo l’esperienza acquisita negli anni per favorire la comunicazione e l’interazione sociale nei bambini con disturbi comportamentali. Una nuova sfida per l’associazione, che stimola le diverse abilità attraverso il gioco e attività motivanti: “Ci avvaliamo dell’Analisi comportamentale applicata (ABA) che è sostenuta e validata dalla comunità scientifica per l’analisi dei comportamenti, per la loro modificazione e per l’estinzione di quelli  non funzionali – spiega Maria Paola Romeo – Nello schema del disturbo dello spettro autistico rientrano, infatti, così tanti e variegati comportamenti che serve un punto fermo per mettere ordine. E l’intervento basato sull’ABA, abilmente trasferito nell’ambiente del bambino, gli consente di intraprendere un percorso di riabilitazione per l’apprendimento delle modalità corrette di comportamento sia a casa che a scuola”. Peccato che le strutture convenzionate per l’applicazione del metodo siano poche rispetto alla domanda, soprattutto se si tiene conto della crescita esponenziale dei disturbi legati allo spettro autistico tra i bambini in tenera età. “Si parla di un caso ogni cento bambini in Italia, e addirittura di uno su sessanta negli Stati Uniti – chiarisce ancora la Romeo – A tutt’oggi si ignorano le cause dell’incedere di tale forma di disabilità, c’è chi parla di fattori ambientali e neurobiologici o di predisposizione genetica, ma quel che è certo è che si sviluppa più in alcune zone che in altre, e che ha ripercussioni anche sull’apparato metabolico”. In questo “mare magnum” di differenziazioni, ci si ritrova quindi ad avere a che fare con bambini con coefficiente intellettivo superiore alla media, che hanno abilità matematiche sorprendenti e che a tre anni già parlano in inglese, contestualmente ad altri che presentano ritardo mentale o sono continuamente soggetti a comportamenti molto problematici e a volte persino a crisi epilettiche. Tutti sono comunque accomunati dalla difficoltà a relazionarsi, ad adattarsi ai vari ambienti ed a dimostrare quello che provano: è a questo punto che intervengono le associazioni come “Neomera”, specializzate nel dare un senso ad una variabilità così scomposta e nel far fuoriuscire le capacità individuali attraverso l’utilizzo del gioco e percorsi di riabilitazione sensoriale e comportamentale. Impressiona, poi, sapere che quel bambino autistico che impara a comunicare e a fidarsi degli altri, grazie all’impegno assiduo degli esperti, dei familiari e dei docenti, è destinato a diventare, al compimento della maggiore età, un utente di colpo catapultato dai servizi di neuropsichiatria infantile al reparto di Salute Mentale. Esiste, infatti, un vuoto normativo in materia che necessita di essere al più presto riempito (si attendono le nuove linee guida), al fine di impedire che i benefici, di cui finora il bambino aveva goduto nel suo percorso riabilitativo, vengano perduti al momento in cui fa il suo ingresso in un reparto dai risvolti drammatici che non ha niente a che vedere con la sua disabilità. E solo perché per la legge non è più un bambino.

Fonte:Ufficio stampa CSV Catanzaro

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