L’Italia dei veleni: la lunga battaglia contro i rifiuti che avvelenano il futuro
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NAPOLI (Di Anna Calì) – Terra dei Fuochi e fiume Sarno: due ferite aperte nel cuore della Campania, simboli di un disastro ambientale che si consuma sotto gli occhi di tutti.
In queste terre avvelenate dai rifiuti, il prezzo più alto lo pagano le persone: malattie, degrado, disperazione.
Eppure, i danni provocati dalla cattiva gestione dei rifiuti non si fermano qui. Si estendono oltre i confini regionali, toccando altre aree, come la provincia di Taranto, dove la comunità di Lizzano si trova oggi a combattere una battaglia cruciale per il suo futuro.
La discarica ex Vergine, chiusa e sotto sequestro dal 2014, è tornata al centro del dibattito pubblico per la richiesta di riapertura avanzata dalla società Lutum. Una prospettiva che ha immediatamente acceso le proteste dei cittadini, delle associazioni locali e delle amministrazioni comunali, che vedono nella riattivazione dell’impianto una seria minaccia per l’ambiente e la salute pubblica.
Una discarica simbolo di disastro ambientale
La storia della discarica ex Vergine è lunga e complessa. Nel 2014, l’impianto è stato sequestrato dai carabinieri per gravi reati ambientali. La gestione della struttura era stata accusata di aver provocato un disastro ambientale a causa della contaminazione delle acque percolate. Da allora, le promesse di messa in sicurezza e bonifica del sito sono rimaste in gran parte disattese.
Nel frattempo, lo stato di abbandono del sito ha continuato a destare preoccupazioni. Di recente, un episodio che ha coinvolto funzionari dell’Arpa, colti da malore durante un’ispezione in un sito vicino, ha ulteriormente rafforzato i timori della popolazione locale. La qualità dell’aria, il rischio di contaminazione delle falde acquifere e l’eventuale esposizione a sostanze tossiche sono le principali paure di una comunità che non vuole più essere sacrificata.
La mobilitazione di una comunità unita
L’opposizione alla riapertura della discarica è capitanata dall’associazione Attiva Lizzano, che ha già inviato le sue osservazioni alla Provincia di Taranto. Tra le principali criticità segnalate vi è l’aumento della volumetria dell’impianto, che triplicherebbe la capacità attuale, aggravando i rischi per l’ambiente e la salute.
Il presidente di Attiva Lizzano, Giovanni Gentile, ha dichiarato: “Per decenni la discarica è stata una minaccia per il nostro territorio. Ora chiediamo di essere valorizzati, non più sfruttati.” Una frase che sintetizza il desiderio della comunità di invertire la rotta, puntando su sostenibilità e bellezza naturale anziché rifiuti e degrado.
Le ragioni del “no”
A livello fisico, le problematiche connesse alla riapertura della discarica sono gravi:
• Qualità dell’aria compromessa: il rischio di emissioni nocive potrebbe peggiorare la salute respiratoria degli abitanti.
• Contaminazione delle falde acquifere: la presenza di percolato potrebbe infiltrarsi nelle riserve idriche, con effetti devastanti per l’ambiente e l’agricoltura.
• Incremento di malattie: esposizione prolungata a sostanze tossiche, come quelle rilevate in passato, potrebbe causare un aumento di patologie croniche e tumorali.
La lotta per il futuro
L’obiettivo non è solo fermare un impianto, ma lanciare un messaggio più ampio: le terre come Lizzano non possono più essere viste come aree di sacrificio per il profitto, ma devono essere tutelate e valorizzate.
In un Paese dove la gestione dei rifiuti è ancora troppo spesso sinonimo di emergenza, la vicenda di Lizzano è un monito. Il futuro delle comunità e dell’ambiente non può essere svenduto.
È una battaglia che riguarda tutti, perché, come insegna la Terra dei Fuochi, i costi dell’inquinamento non si fermano mai ai confini di un territorio.
Una discarica chiusa che continua a preoccupare
Sebbene formalmente chiusa, la discarica Lutum continua a essere una fonte di disagio per i cittadini. Odori nauseabondi si diffondono periodicamente nell’aria, costringendo i residenti a tapparsi in casa per sfuggire ai miasmi. Di recente, un’ispezione dell’Arpa si è conclusa con il ricovero dei funzionari per malori, un episodio che ha sollevato nuovi interrogativi sulla sicurezza del sito.
Le promesse di bonifica e messa in sicurezza, fatte anni fa, non sono mai state mantenute. A peggiorare la situazione, un procedimento penale per disastro ambientale è ancora in corso presso il Tribunale di Taranto, mentre la Valutazione di Impatto Sanitario (VIS) evidenzia un aumento delle ospedalizzazioni per tumori nei comuni limitrofi.
La richiesta di riapertura: profitto contro territorio
Nonostante questo contesto, la società Lutum ha avviato l’iter per la riapertura della discarica, con una richiesta di autorizzazione finalizzata a triplicarne la volumetria attuale.
Una prospettiva che ha incontrato la ferma opposizione delle amministrazioni locali, delle associazioni ambientaliste e di una popolazione ormai esausta.
L’associazione Attiva Lizzano, da sempre in prima linea, ha organizzato manifestazioni e raccolto oltre 1.500 firme per dire “no” alla riapertura. “Questa discarica ha già segnato profondamente il nostro territorio – afferma Giovanni Gentile, presidente di Attiva Lizzano – e non possiamo permettere che accada di nuovo. Non è solo una questione ambientale, ma una battaglia per la nostra salute e il nostro futuro.”
Il parere dell’ASL e il silenzio delle istituzioni
A dare peso alle preoccupazioni è il parere sfavorevole dell’ASL di Taranto, che sottolinea come l’impianto non offra sufficienti garanzie di tutela ambientale e sanitaria. La relazione evidenzia criticità igienico-sanitarie e rischi di natura odorigena, già osservati in passato.
Nonostante ciò, i cittadini lamentano l’inerzia delle istituzioni, a partire dalla Regione Puglia, che sembra non voler prendere una posizione chiara. La conferenza dei servizi, fissata al 10 dicembre, sarà un momento decisivo per determinare il futuro della discarica.
Un futuro sospeso
La vicenda di Lizzano non è solo una questione locale. È il riflesso di una gestione dei rifiuti che, troppo spesso, privilegia il profitto a scapito della salute e dell’ambiente. La comunità chiede risposte chiare e azioni concrete: la bonifica del sito, il rispetto del diritto alla salute e un modello di sviluppo sostenibile che valorizzi il territorio anziché sfruttarlo.
Il 5 gennaio 2025, data prevista per la conclusione del procedimento, segnerà un momento cruciale. Se la discarica verrà riaperta, sarà un duro colpo per la popolazione, che rischia di vedere il proprio futuro sacrificato ancora una volta sull’altare del guadagno economico.
Un appello alla politica e al buon senso
La vicenda della discarica Lutum non è solo una questione locale: è un test cruciale per la politica regionale e nazionale. La tutela della salute pubblica e dell’ambiente deve essere prioritaria rispetto agli interessi economici di pochi.
È il momento per le istituzioni di dimostrare che il diritto alla salute, sancito dalla Costituzione, non è solo un principio sulla carta, ma una realtà concreta e inalienabile. È il momento di ascoltare i cittadini che, con forza e dignità, stanno lottando per un futuro più sano e sostenibile.
Di fronte a una scelta così cruciale, viene naturale chiedersi quanto ancora la logica del profitto possa continuare a pesare più della tutela della vita stessa. La discarica Lutum non può e non deve riaprire. Questo non è solo il grido di Lizzano, ma di tutte le comunità che chiedono rispetto per la loro terra e per la vita stessa.
La politica ha l’opportunità di dimostrare coraggio e visione, di mettere il bene comune al centro delle proprie decisioni. Non sprechiamola.
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