“Je ne te voiais pas”: l’incontro tra vittime e autori di reato

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Ogni progetto è un viaggio. La destinazione è spesso sconosciuta. L’Arte della Libertà, a cura di Elisa Fulco e Antonio Leone, ha scoperchiato temi, riflessioni e valori da cui è impossibile tornare al come prima. Il concetto di “Giustizia riparativa”, è un regalo del progetto, dell’esperienza in carcere, un modo di ripensare le relazioni e le conseguenze del nostro agire che tocca tutte le sfere della contemporaneità: l’ambiente, l’integrazione, l’educazione, la sostenibilità ambientale ma soprattuto sociale. In Italia se ne comincia a parlare.

Un documentario svizzero “Je ne te voiais pas”, racconta il percorso di avvicinamento tra le vittime e gli autori di reati: l’incontro tra chi ha subito il danno e chi l’ha perpetrato, giocato sul confine sottile tra risarcimento emotivo e responsabilizzazione come forma efficace di recidiva. Nel diritto, come nella vita, vittima e carnefice sono spesso uniti da un destino comune, entrambi “prigionieri” di un vissuto che non prevede un ritorno alla vita precedente. Il concetto di “riparazione”, si fa necessario in tutti i contesti in cui ci comportiamo e agiamo come se l’altro (persona o bene), non avesse valore per noi, non esistesse: “je ne te voiais pas”. La giustizia ha nella violenza il suo polo opposto, vittime e carnefici, servi e padroni nella dialettica hegeliana, sono indissolubilmente legati insieme.

 

Andrebbero riparate tutte le ingiustizie, piccole e grandi, che non hanno trovato risarcimento, a partire dalle relazioni, che spesso sono compromesse. Partire dal chiedere scusa e mi dispiace per tutte le volte che non siamo stati capaci di spiegarci; per tutte le volte che non siamo stati all’altezza della situazione. Per tutte le volte che non abbiamo valutato abbastanza le conseguenze delle nostre parole e delle nostre azioni. Per tutte le volte che non abbiamo difeso e sostenuto chi era più fragile di noi.

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