Tra le baracche di Messina, un germoglio di speranza

L’Oratorio San Luigi Guanella fa parte della rete di Ampliacasa.

Messina, periferia Sud. A Fondo Fucile c’è una baraccopoli di 5mila metri quadri: mattoni, cemento ed eternit – quindi amianto – in mezzo ai quali abitano molte famiglie, anche se è difficile contarle, forse 100, forse 150… Di fronte c’è un oratorio, aperto 5 anni fa in uno spazio messo a disposizione dall’Istituto per le Case Popolari. La chiesa non c’è: avrebbe dovuto essere costruita al posto delle baracche, che però sono ancora lì.

L’Oratorio San Luigi Guanella, della parrocchia di San Pio X, è un punto di riferimento per il quartiere: oltre al campetto, ha aule destinate ad attività di vario tipo, che vanno dal doposcuola ai laboratori artigianali, ai corsi di danza o taglio e cucito. Ma non sono le singole attività che contano, bensì il fatto che sono incorniciate in una proposta educativa e di vita, per cercare di togliere i ragazzi dalla strada.

Perché, come sintetizza il parroco, don Nico Rutigliano, «la strada non è maestra di vita».

La baraccopoli di Fondo Fucile è ormai una realtà storica, anche se, racconta don Nico, «non è vero che risale al terremoto, come pensa la maggior parte delle persone. La costruzione di questa zona è iniziata negli anni cinquanta. Poi, negli anni sessanta, lo IACP ha costruito i palazzi qui intorno – case popolari quindi – e in basso, sulla piana, si sono stabilite le persone in attesa dell’assegnazione degli appartamenti. Queste famiglie povere arrivavano da altre baracche, come quelle del quartiere Giostra, attendevano l’assegnazione ma, quando la casa arrivava, subaffittavano o vendevano o comunque davano la baracca ad altre persone». E così, si sono alternate tre generazioni e il disagio abitativo «ha incrementato e catalizzato tante povertà, creando una situazione potenzialmente esplosiva. C’è la povertà economica, sociale, civica, e soprattutto quella culturale».

Ecco perché l’impegno dell’oratorio è dedicato soprattutto ai minori a rischio. «Ci vengono segnalati dalla scuola Albino Luciani, che ci indica casi di povertà familiare, ma anche di disimpegno scolastico. Cerchiamo con loro di combattere la dispersione scolastica». In fondo, l’oratorio fa anche un lavoro di prevenzione, perché «quando un bambino sta tutto il tempo per strada e ne respira la “cultura”, impara a vivere di espedienti, di vandalismi e corre il rischio di essere assoldato dalla microcriminalità e dallo spaccio».

L’arma pacifica e visibile contro la cultura della strada è il campetto, che resta ostinatamente aperto, nonostante tutto. «Il campetto non ha cancelli, catene o chiavi, perché i ragazzi possano capire che questo habitat è loro», spiega don Rutigliano, «che noi ce ne andremo e loro resteranno qua, e devono custodirlo, preservarlo. E per farlo non possono comportarsi come fanno sulla strada. Purtroppo non hanno molti buoni esempi, neanche dagli adulti. Ho visto mamme che portavano il cagnolino a fare i propri bisogni dove il figlio doveva allenarsi. Abbiamo piantato centocinquanta alberelli e ne sono rimasti quindici. Ci avevano regalato dei giochi (altalena, scaletta, scivolo) e li hanno distrutti. Il rispetto non c’è, ma noi educatori chiediamo piccoli gesti che lo facciano riscoprire: prima dell’allenamento, per esempio, facciamo con loro un giro per il cortile per raccogliere le cartacce. Partiamo da qui per educare al rispetto dell’ambiente e della legalità e poi continuiamo esigendo il rispetto del mister, delle regole, del gioco di squadra… Tutto questo, piano piano, lascia il segno».

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La rete dell’accoglienza di Messina con don Nico Rutigliano.

Il problema è quando questi bambini crescono, perché «a 14 anni già si sentono adulti e non vengono più al campetto, non vogliono mescolarsi con i più piccoli. A 14 anni il motorino, a 16 la macchinetta… e cominciano a segnare il territorio, a prendere altre strade». Ormai, quello che è fatto è fatto. Per questo è importante lavorare anche con le famiglie, anche se non è facile. «Ad Avola, a gennaio, una coppia di genitori ha picchiato e rotto una costola al professore, che aveva rimproverato il figlio a scuola. Ecco, direi che l’atteggiamento diffuso è questo. Noi invitiamo i genitori, ma agli incontri vengono solo le mamme – i padri sono assenti – e comunque difendono i priori i figli. Facciamo fatica a stabilire un’alleanza educativa».

La parrocchia ha aperto uno sportello per le famiglie, che offre soprattutto consulenze legali gratuite, sia in ambito civile che penale, legate alla famiglia, alla casa e ai figli. «Sono soprattutto le donne che si fanno carico di tutto questo, ma sarebbe auspicabile offrire anche altri tipi di consulenza: di una pediatra, di una ginecologa… Le mamme in casa fanno tutto, sono loro che tengono i rapporti con la scuola, con il mondo esterno, da loro dipende l’educazione alla fede, ma anche l’educazione civica. Questa è davvero una società senza padri, in tutti i sensi».

La scelta di aderire alla rete per l’accoglienza che Ampliacasa sta costruendo, si basa su due motivi: «Ci sta a cuore il disagio abitativo dei nostri parrocchiani, ma anche la collaborazione con altri enti. Se qualche cosa riusciamo a fare, è grazie alla collaborazione di tanti uomini e donne di buona volontà. Siamo in rete con la scuola, abbiamo una collaborazione con l’Università, lavoriamo strettamente con l’Opera Don Guanella, con la Caritas diocesana, gli scout, altri centri giovanili. Entrano in questo grande progetto di promozione i parrocchiani, i volontari, persone generose e impegnate… Nessuno può risolvere i problemi degli altri, se non c’è collaborazione». E anche se lavorare in rete può essere a volte faticoso, ne vale la pena: «Ubi homines, ibi miseriae: dove c’è un consorzio umano, ci sono sempre difficoltà, a partire dai disturbi della comunicazione. Però da soli non si va avanti. Se decidi, ad esempio, di farti carico di una persona che è stata sfrattata, devi prendere contatto con l’assistente sociale, l’avvocato, l’associazione dei condomini, la Caritas… Non puoi pensare di farcela da solo».

Dall’anno scorso, la speranza di riqualificare il quartiere – ed altri della periferia della città – si è risvegliata grazie al progetto “Messina: CapaCity”, che ha ottenuto un finanziamento di 18 milioni di euro all’interno del programma straordinario di intervento sulle periferie promosso dal Governo, ma il timore è che anche questa volta si fallisca. Progetti, in passato, ne sono già stati fatti e sono stati stanziati fondi, ma le baracche sono ancora lì. Secondo don Rutigliano, «i fondi stanziati – europei o regionali – si sono arenati nella burocrazia. E anche quelli di questo progetto non sono partiti bene: noi, che partecipiamo al progetto, abbiamo iniziato e stiamo già facendo i pagamenti, ma i soldi non arrivano. Non so se alla base c’è incapacità e superficialità… però è così».

E così il problema si perpetua, perché su questi ragazzi, apparentemente predestinati a percorsi verso la microcriminalità e la devianza, il problema abitativo pesa, e anche molto. «La povertà è parte della crescita. È un iniziare il proprio percorso partendo già svantaggiati: non hai stimoli, non hai una proposta culturale, non hai occasioni di apprendimento. Quindi sei già indietro nel cammino della vita e continuerai ad esserlo quando andrai a scuola e poi quando entrerai nel mondo del lavoro, se ci entrerai. Una situazione abitativa adeguata ti può aiutare a trovare il tuo posto, letteralmente e metaforicamente, in casa come fuori. Un angoletto per studiare è un segnale importante, un’indicazione di che cosa conta nella vita.

Paola Springhetti

 

 

 

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