Reggio Calabria: una risposta per le donne in emergenza abitativa

Casa padre Guido Reghellin accoglie a Reggio Calabria donne in situazione di emergenza abitativa. La realtà è entrata a far parte della rete Ampliacasa.

Casa padre Guido Reghellin è una villetta di due piani in una strada tranquilla di Reggio Calabria, con davanti un fazzoletto di verde e due alberi, che quasi la nascondono la vista. Qui, donne in emergenza abitativa hanno trovato una soluzione, sia pur transitoria, per il loro problema e soprattutto un punto d’appoggio per ripartire. La casa, nata grazie all’associazione Zedakà, ha accolto in poco più di due anni di vita una trentina di donne e con loro dieci bambini, che rischiavano di finire sulla strada.

La villetta è stata messa a disposizione in comodato d’uso gratuito, gli arredi sono stati donati, una psicologa ha dato la disponibilità ad occuparsene volontariamente, volontari e amici sostengono economicamente il progetto… Qui le donne vivono autogestendosi e hanno a disposizione stanze luminose, spazi comuni accoglienti, un’ampia cucina. I posti sono sei e le donne dovrebbero fermarsi per un tempo limitato a sei mesi, ma a volte restano di più.

C’è la badante che ha perso lavoro e tetto, quando la persona di cui si occupava è morta, c’è la donna lasciata dal marito proprio quando doveva affrontare una grave malattia; c’è quella che si è separata, e magari ha figli piccoli di cui occuparsi…

«Il numero delle donne in emergenza abitativa è cresciuto negli anni», spiega Antonia Dora Restuccia, presidente dell’associazione Zedakà, nonché responsabile del Centro di Ascolto della Caritas diocesana di via Campanella. «Prima riguardava soprattutto le badanti, ma negli ultimi anni coinvolge molte donne separate».

Da quando è stata aperta, la casa è stata sempre piena. Anzi, «a volte abbiamo dovuto dire dei no, perché eravamo al completo. Altre volte i no erano dovuti al fatto che le richieste erano per donne non autosufficienti. Qui le donne si gestiscono autonomamente: questa non è una casa di accoglienza. Si tratta di donne in difficoltà, ma autonome, anche se noi assicuriamo la presenza di una persona di fiducia».

L’associazione Zedakà è interessata al progetto Ampliacasa perché Casa Rebellin è un’esperienza di cohousing. «Il cohousing è una buona soluzione per le donne che escono da altre strutture di accoglienza e per quelle che si trovano in difficoltà. Quando escono di qua, solitamente hanno risolto i loro problemi, in tutto o in parte. C’è stato il caso di una donna albanese che è stata qui con i suoi bambini, i quali hanno anche frequentato la scuola qui, e poi si è innamorata e si è rifatta una famiglia. Qualche altra ha trovato lavoro, a volte in città a volte fuori, una addirittura a Milano. Molte sono badanti che hanno perso il lavoro, e noi le aiutiamo a trovarne un altro. Altre persone ci sono state segnalate dai servizi e hanno problemi un po’ più complicati».

E poi c’è il discorso del fare rete: attorno a questo progetto, ma anche attorno agli altri che l’associazione Zedakà porta avanti, ad esempio quello per le donne in difficoltà economica oppure “Aiutiamoli a crescere”, per i bambini in condizione di povertà. L’associazione collabora e trova sostegno in fondazioni, associazioni, cooperative, ma anche singoli cittadini.

Il problema è anche che i bisogni delle donne sono diversi e ogni storia è una storia a sé. Così, a volte, bisogna essere flessibili, anche derogando dalle regole. Ad esempio quella dei sei mesi di permanenza: «In alcuni casi che ci sono segnalati dai servizi, se i servizi stessi non trovano altre soluzioni – l’inserimento in una struttura – dovremmo fare uscire queste donne lasciandole di nuovo per strada?», si chiede Antonia Dora Restuccia. «In questi casi i tempi si dilatano e qualcuna è rimasta più di un anno».

E poi c’è il problema del lavoro: «Siamo partiti dal puro e semplice problema abitativo», spiega Dora Restuccia, ma poi ci siamo resi conto che bisogna occuparsi anche di altri aspetti importanti per la conquista dell’autonomia piena, primo tra tutti il lavoro».

In questa direzione va anche il progetto, finanziato dalla Fondazione Franza-Matacena di Messina, “Donne operose e tessuti di speranza”, che prevede l’apertura di un laboratorio di maglieria, cucito e ricamo all’interno di Casa Rebellin e l’assegnazione di borse di lavoro per 6 donne, in collaborazione con alcune cooperative, per favorirne il reinserimento nel tessuto sociale. Per realizzare questo progetto, sono in corso lavori di ristrutturazione nel piano seminterrato della villetta. Grazie al laboratorio, le donne ospiti della casa potranno acquisire delle competenze e soprattutto trovare più facilmente un lavoro quando usciranno.

A bisogni complessi occorre dare riposte articolate e il fare rete è indispensabile.

Paola Springhetti

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